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Vini bianchi del Centro Italia

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Montefiascone con il suo Est! Est!! Est!!!, San Gimignano con la Vernaccia, Ischia e Frascati con le omonime denominazioni... Sono i grandi vini bianchi del Centro Italia, tutti da scoprire

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Nel 1966, con l’introduzione delle denominazioni di Origine per i vini italiani, giunse il momento di dedicarsi attivamente alla stesura dei relativi disciplinari di produzione. I territori più solerti, che si attestarono il riconoscimento per primi, furono quattro, tutti provenienti dalle regioni centrali del nostro paese: Montefiascone con il suo Est! Est!! Est!!!, San Gimignano con la Vernaccia, Ischia e Frascati con le omonime denominazioni. È curioso, poi, notare come si trattasse quasi esclusivamente di vini bianchi, fatta eccezione per la versione in rosso della denominazione ischitana, a base di Per’e Palummo. Nella versione in bianco, i vitigni principali sono gli autoctoni Biancolella e Forastera, allevati sui terrazzamenti vulcanici dell’isola costruiti per mezzo di muretti a secco in tufo verde chiamati “parracine”. La viticoltura qui è necessariamente “eroica”: appezzamenti molto piccoli, spesso affacciati direttamente sul mare, e la necessità di ricorrere a monorotaie o barche per il trasporto delle uve durante la vendemmia sono due degli elementi chiave del territorio.

Lazio

Anche ai Castelli Romani, nella zona del Frascati situata alle porte di Roma, il suolo è di matrice vulcanica, risultante dei millenni di attività del Grande Vulcano Laziale. Qui le uve principali sono Malvasia Puntinata, o del Lazio, e Malvasia Bianca di Candia, ma anche Bombino e Bellone. Era proprio il vino di Frascati a riempire le coppe dei commensali delle storiche “fraschette”, anche nella sua versione dolce alla quale è stata dedicata una denominazione a sé stante, il Cannellino di Frascati DOCG, da abbinare, come tradizione comanda, alle pupazze frascatane. Rimanendo nel Lazio, ma spostandoci leggermente verso nord, si raggiungono le sponde del lago di Bolsena. Questo bacino vulcanico, circondando dai Monti Volsini, si è originato dal collasso della camera magmatica, creando una caldera riempitasi successivamente di acque meteoriche. Lungo queste sponde è ben nota la leggenda risalente al XI secolo del vescovo tedesco Johannes Defuk, che incaricò il suo servo Martino di esplorare il territorio e, qualora avesse trovato un vino di pregio, di segnalarne la presenza con la scritta ‘EST’. Egli rimase così piacevolmente colpito dalla bontà di quel nettare assaggiato a Montefiascone che per indicarne l’eccellenza decise di ripetere per ben tre volte quella formula: da qui il nome, indubbiamente originale, EST! EST!! EST!!!. Il disciplinare prevede l’utilizzo in primis di Trebbiano Toscano, localmente chiamato Procanico, e Trebbiano Giallo (o Rossetto), con Malvasia Puntinata o Malvasia bianca Lunga a saldo.

Toscana

Proseguendo verso la Toscana, troviamo San Gimignano, con il suo caratteristico skyline, e la sua altrettanto celebre Vernaccia, riconoscibile per la sapidità all’assaggio, primariamente legata al suolo singolare in cui le viti affondano le radici. La presenza del mare in ere passate ha lasciato la propria impronta tra questi declivi, dove non è raro, in effetti, trovare depositi di conchiglie fossili qua e là tra i vigneti. La trasformazione in sabbie di quest’ultime ha arricchito il terreno di sali minerali, contribuendo alla sensazione salina che presentano le Vernacce di San Gimignano all’assaggio.

Marche

Diviso invece tra due anime, l’una di mare, l’altra di montagna, è il Verdicchio, il vitigno a bacca bianca più importante del territorio marchigiano. Una storia controversa la sua, che lo lega a livello genetico ad altri vitigni come il Turbiana e il Trebbiano di Soave, e che, nel corso del tempo, ha vissuto periodi di grande successo, come avvenne tra gli anni Sessanta e Settanta, e altri in cui è stato messo in disparte. Ad oggi, il Verdicchio, tanto nella denominazione dei Castelli di Jesi quanto di Matelica, è in cerca di una rivalsa, sostenuta fortemente dai giovani produttori delle nuove generazioni. Con la sua poliedricità, è un’uva capace di adattarsi dallo spumante al passito, per incontrare anche i palati più esigenti e accompagnare tutto il pasto.

I rossi del Centro

Quando si parla di vini rossi del centro Italia è, seppur nelle sue diverse declinazioni territoriali, un vitigno in particolare a venire subito in mente : il Sangiovese. Questa varietà dà vita ad alcune delle denominazioni più storiche e illustri d’Italia, come il Chianti, i cui confini territoriali furono i primi a essere stabiliti nel XVIII secolo. Quelle frontiere, nel tempo, hanno ceduto terreno, abbracciando nuovi areali fino a rendere necessaria la separazione della frazione più storica, quella del Chianti Classico, dai territori ai margini come i Colli Fiorentini o i Colli Senesi. Sebbene da disciplinare sia ammesso l’utilizzo di altri vitigni, molti produttori scelgono di presentare il Sangiovese in purezza, in particolare per la menzione “Gran Selezione”.  Ciò non accade a Montalcino, dove dalle intuizioni di Clemente Santi, e dal lavoro di Ferruccio suo nipote, che presentò sul mercato la prima bottiglia nel 1888, è nato uno dei più pregiati vini d’Italia; il disciplinare di produzione del Brunello di Montalcino Docg impone, infatti, l’utilizzo di sole uve Sangiovese. Dopo un lungo affinamento di 5 anni, di cui almeno 24 mesi in legno di rovere, il Brunello si presenta come un vino complesso e longevo, adatto a essere consumato anche diversi anni dopo la vendemmia. Con un tannino ancor più vigoroso, ma altrettanta potenzialità d’invecchiamento, è invece il Sagrantino. Vitigno autoctono del territorio umbro, le cui origini risultano ancora poco chiare, deve il suo nome agli ordini monastici che tanto contribuirono alla rinascita della viticultura durante il Medioevo, e che lo utilizzavano per produrre il vino da servire durante la messa. In origine un vino passito, il Sagrantino di Montefalco DOCG si è evoluto in un vino secco, potente, che richiede quasi tre anni di affinamento minimo prima di poter essere immesso sul mercato. Data la maggior ricchezza antocianica rispetto al Sangiovese, spicca non soltanto per il tannino deciso ma anche per un’intensità di colore più marcata e un apporto di alcol decisamente poco contenuto.

La proposta laziale di vino da invecchiamento, le cui potenzialità sono ancora da esplorare del tutto, è il Cesanese, distinto tra Cesanese comune e di Affile. Entrambe le varietà concorrono almeno per il 90% alla produzione della DOCG Cesanese del Piglio. L’area comprende altimetrie piuttosto variabili (dai 220m slm sino a sfiorare i 1000m) e la composizione dei terreni si mostra altrettanto diversificata con una particolare incidenza di terre rosse.

Risalendo nelle Marche, accanto alla meno famosa Lacrima di Morro, un tempo impiegata per la sola macerazione carbonica ma che negli ultimi anni è stata rivalutata grazie all’intuito di alcuni produttori, domina il Montepulciano. Nella zona del Conero, con vigne affacciate direttamente sul mare e carezzate dalle brezze, questo vitigno si mostra in una veste elegante e raffinata, meno strutturata, rispetto alle versioni del Piceno, dove un terreno più ricco di argilla e una maggior distanza dal mare lo rendono più succoso, pieno, ricco di frutta al naso e di buon corpo all’assaggio.

Letizia Porcini,
Novembre 2024

Letizia Porcini
Letizia Porcini

Letizia Porcini è Esperta Assaggiatrice ONAV, Wine Educator e redattrice per guide e riviste di settore

Letizia Porcini è Esperta Assaggiatrice ONAV, Wine Educator e redattrice per guide e riviste di settore

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