Nella porzione meridionale della nostra penisola, rientrano due delle regioni più produttive d’Italia: Puglia e Abruzzo.
Quest’ultima è anche la patria di uno dei vitigni più conosciuti al mondo, il Montepulciano, la cui produzione si divide tra DOC e DOCG. Da un lato, dunque, la denominazione del Montepulciano d’Abruzzo, comprensiva della menzione “Riserva”, abbraccia al proprio interno le sottozone Terre di Casauria, Terre dei Vestini, Alto Tirino, Terre dei Peligni e Teàte, dall’altro la Controllata e Garantita Colline Teramane, dall’areale sensibilmente più ristretto. Tra le proposte abruzzesi non mancano, poi, calici di bianchi come Passerina e Pecorino, o la meno nota Cococciola. Una menzione speciale va riservata invece alla storica interpretazione rosata del Montepulciano, il Cerasuolo d’Abruzzo: le sfumature vanno dalle espressioni più tradizionaliste, caratterizzate da toni ciliegia, a più delicate nuance salmone e buccia di cipolla. Per la vinificazione si prediligono affinamenti in acciaio o cemento sebbene alcuni produttori impieghino anche il legno, per aggiungere struttura e complessità.
Il vicino Molise, nonostante la sua dimensione modesta così come il suo peso sul comparto enoico italiano, ha riportato all’attenzione del pubblico l’autoctono Tintilia, grazie al lavoro e la dedizione dei viticoltori locali. Vitigno dalla probabile origine spagnola, il cui nome sembrerebbe riferirsi alle sue capacità tintorie, il Tintilia sta mostrando di avere il carattere che si addice alle uve destinate a realizzare grandi vini. Nel calice si presenta fruttato e floreale, con tratteggi balsamici in evoluzione, dal colore rubino quasi impenetrabile, e con tannini ben solidi e tesi.
Tensione, longevità e potenza, sono, del resto, tre delle caratteristiche che hanno reso famoso e apprezzato un altro vitigno del sud Italia: l’Aglianico. Declinato tra Taurasi, Taburno e Vulture, per quanto concerne le denominazioni, è tra le varietà senza dubbio più diffuse tra Campania e Basilicata, trovando in Irpinia la sua patria d’elezione. In generale, le uve Aglianico prediligono terreni vulcanici che contribuiscono ad accentuarne la vena acida; quest’ultima, in combinazione al suo importante corredo polifenolico, accorda le condizioni ideali per ottenere dei vini da lungo invecchiamento. Non a caso, infatti, quando si parla di Aglianico (specialmente del Vulture) si parla anche di ‘Barolo del Sud’. Rimanendo in Irpinia, troviamo altre due DOCG campane di grande pregio, il Fiano di Avellino e il Greco di Tufo. Entrambi questi vini bianchi non temono la sfida del tempo. Il Greco, la cui discreta pienezza al palato non fa sentire la mancanza di un vino rosso, è foriero di vini vigorosi, di buona struttura; si prediligono vinificazioni in assenza di legno, lavorando più possibile in riduzione, per mantenerne intatto il patrimonio organolettico e conservarne la freschezza. Decisamente più snelli e serbevoli sono invece i vini ottenuti da Biancolella e Forastera, varietà coltivate specialmente lungo la costa campana o tra i filari a picco sul mare dell’Isola di Ischia.
Scendendo in Calabria, si raggiunge l’areale delle Terre di Cosenza, denominazione di origine piuttosto recente che include versioni in bianco, rosso e rosato anche nelle tipologie spumante, passito e vendemmia tardiva. La piattaforma ampelografica è piuttosto ampia e comprende autoctoni come Magliocco (conosciuto anche come Magliocco dolce o Arvino), Gaglioppo, Pecorello e Greco bianco. Quest’ultimo viene impiegato in special modo nell’areale di Bianco per la produzione del passito denominato Greco di Bianco.
Una simile dolcezza si riscontra nel tacco d’Italia con il Primitivo di Manduria Dolce Naturale, ottenuto dall’omonimo vitigno, che regala altrettanto apprezzate versioni ‘secche’, generalmente caratterizzate da titoli alcolometrici importanti, morbidezza al sorso e bouquet fruttati. Dal piglio nettamente più fresco è il Negroamaro, vitigno che dimostra di avere le carte in regola per la produzione di vini longevi, anche in virtù del suo corredo polifenolico. Il tannino più vigoroso è invece del Nero di Troia, molto diffuso nella porzione di Castel del Monte tanto da guadagnarsi una denominazione dedicata: Castel del Monte Nero di Troia Riserva DOCG. Alla potenza dei rossi di Puglia, si accompagna la vivacità di bianchi ottenuti da uve come il Bombino, impiegato anche per gli eccellenti Metodo Classico del territorio di San Severo, o la Verdeca.
Volgendo lo sguardo verso le isole, s’incontrano i profumi e la sapidità del Vermentino, che in Gallura ha trovato il proprio habitat prediletto. Le terre siciliane rispondono, d’altro canto, con l’autoctono Grillo, che affacciato sulle saline di Marsala contribuisce alla produzione dell’iconico vino liquoroso. La potenza del Cannonau sardo, che si fa più elegante spostandosi verso il cuore della Sardegna, nell’areale del Mandrolisai all’ombra del Gennargentu, trova nel Nero d’Avola siculo una degna risposta, capace di altrettanta versatilità in virtù dell’ambiente pedoclimatico e del suolo dove vengono coltivate le uve. Se poi il fascino del dolce Zibibbo ha da diverso tempo conquistato il pubblico, le luci della ribalta si sono invece recentemente accese sull’Etna: terreni vulcanici estremamente vocati, clima talora montano e influenza marina creano un complesso intreccio che è stato declinato in oltre 140 Contrade per descrivere la caleidoscopica espressione che Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Carricante, riescono a esprimere lungo le pendici del brontolante Mongibello.
Letizia Porcini,
dicembre 2024
Letizia Porcini è Esperta Assaggiatrice ONAV, Wine Educator e redattrice per guide e riviste di settore
Letizia Porcini è Esperta Assaggiatrice ONAV, Wine Educator e redattrice per guide e riviste di settore