Un’ampia gamma di prodotti enoici, frutto di tradizioni vitivinicole che, talvolta, affondano le radici lontano nel tempo... Scopriteli qui
La porzione settentrionale della nostra penisola presenta paesaggi e condizioni pedoclimatiche molto varie, con origini geologiche, condizioni climatiche e altimetrie differenti: dalle dorsali e vallate di origine morenica, come l’areale dei Monti Lessini o alcune porzioni montane del Trentino-Alto Adige, agli antichi sedimenti marini e le conchiglie che si possono rinvenire tra i vigneti della Valpolicella o delle Langhe, passando per i fenomeni di carsismo e le pianure alluvionali del Friuli-Venezia Giulia sino alle aree plasmate da una remota attività vulcanica, più o meno evidente, come la Val di Cembra, i Colli Euganei, alcune aree di Soave e persino Gattinara in Piemonte. Si tratta di suoli che possono presentare, anche a pochi metri di distanza, delle matrici differenti e che hanno imposto nel tempo considerevoli lavori di zonazione, come nel caso delle 181 Menzioni Geografiche Aggiuntive di Barolo. Le diverse età geologiche, al contempo, esercitano il proprio peso, basti pensare ancora una volta alle Langhe e alla contrapposizione tra Tortoniano (La Morra, Barolo) ed Elveziano (Serralunga d’Alba, Monforte, Castiglione Falletto). A questo complesso quadro si vanno a intrecciare le diverse condizioni climatiche, talora più fredde e tipicamente montane, come accade in Valle d’Aosta, ad altre dall’impronta più mite, quasi mediterranea, come nelle prossimità dei laghi, o, ancora, continentale e subcontinentale come nell’entroterra e in molte aree pianeggianti, caratterizzate da estati afose e inverni rigidi. Tale complessità si riflette in un’ampia gamma di prodotti enoici, frutto di tradizioni vitivinicole che, talvolta, affondano le radici lontano nel tempo.
Non possiamo non partire dalle bollicine, che in questo quadrante d’Italia concentrano le loro denominazioni più importanti. Ne sono esempi il Trento DOC, le cui uve crescono fra i ripidi pendii delle montagne, spesso sorrette da terrazzamenti e muretti a secco, e il Franciacorta: questa viticoltura, talora ascrivibile alla tipologia “eroica”, dà vita a spumanti Metodo Classico di carattere, a base di uve Chardonnay e Pinot Nero. Dal sogno di Giulio Ferrari degli albori del XX secolo, al progetto di Franco Ziliani e Guido Berlucchi nel territorio franciacortino, la volontà era la medesima: realizzare dei grandi spumanti, ispirandosi ai cugini francesi. La base ampelografica, in effetti, è molto simile tra Trento Doc e Franciacorta; in quest’ultimo caso, però, in tempi più recenti, si è andato ad aggiungere un vitigno autoctono, l’Erbamat, di grande supporto per bilanciare i livelli di acidità. Con una massa critica decisamente più rilevante è invece il Prosecco, comprensivo di Doc e Docg. Divise tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia, queste denominazioni riversano ogni anno sul mercato oltre 600 milioni di bottiglie, con la punta di diamante rappresentata dal Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore di Cartizze Docg, proveniente dai 108 ettari dell’omonima collina.
Rimanendo in territorio veneto, a est di Verona si incontra l’areale del Soave. Qui, le uve Garganega partecipano almeno per il 70% alla produzione dei vini Doc e Docg, e sono coltivate su colline e pianure dalla matrice prevalentemente calcarea o vulcanica. L’interazione dei diversi suoli, con altimetrie ed esposizioni differenti, dona caratteristiche organolettiche distinte rispondenti a 33 Unità Geografiche Aggiuntive frutto di oltre 15 anni di studi. Spostandoci verso il Lago di Garda, è invece il Turbiana a dar luogo alla denominazione del Lugana, con uve sono coltivate prevalentemente in pianura su suoli di origine morenica e sedimentaria di matrice calcarea e argillosa. Procedendo verso il Piemonte e il territorio dei Colli Tortonesi, s’incontra, poi, un vitigno a bacca bianca che negli ultimi quarant’anni ha vissuto una vera riscoperta: il Timorasso. Abbandonato dopo l’avvento della fillossera, a causa della sua produttività discontinua, a favore di varietà più generose, grazie al lavoro, in primis, di Walter Massa ha potuto riguadagnare una propria porzione di pubblico e produttori devoti. Tra le doline del Carso si possono assaggiare, inoltre, i vini bianchi macerati a base di Vitovska: varietà diffusa ampiamente anche in Slovenia, dove si individua la sua probabile origine, condivide parte del DNA con Prosecco e Glera, e nelle sue espressioni “orange” mostra tutto il proprio carattere poiché il contatto con le bucce la arricchisce di una delicata tannicità.
Per gli amanti dei vini rossi, la porzione settentrionale del Bel Paese offre una vasta gamma di prodotti dall’alto valore tecnico e storico. Tornando in Piemonte, dove il Nebbiolo la fa da padrone, è senz’altro il Barolo il campione indiscusso. È lui infatti “Il re dei vini, il vino dei re”, che nel corso dell’Ottocento visse una prima rivoluzione ad opera di Camillo Benso Conte di Cavour e Juliette Colbert, ereditiera delle tenute dei Marchesi di Barolo appartenute al marito Carlo Tancredi Falletti. La seconda giovinezza ci fu poi con gli anni ’70 e i “Barolo Boys”, con l’introduzione del legno piccolo, per maturazioni più veloci rispetto alla botte grande. L’altro grande rosso si incontra tra le colline fuori Verona, dove si produce l’Amarone della Valpolicella. Nato, secondo la leggenda, da un fortunato caso o, più probabilmente, a seguito di sperimentazioni per trasformare il dolce Recioto in un vino potente ma secco, l’Amarone è indubbiamente un vino di metodo: l’appassimento delle uve gioca infatti un ruolo cruciale nella sua produzione. Dopo la raccolta, le uve Corvina, Corvinone e Rondinella (varietà principali da disciplinare) seguono un periodo di oltre 100 giorni di appassimento in cassette, nelle tipiche aréle o, persino, appese in locali idonei, dove le condizioni di temperatura, umidità e ventilazione devono accordare i giusti tempi di evaporazione dell’acqua per una migliore concentrazione aromatica. Chiudiamo il nostro viaggio tra i vini del nord Italia con la briosità del Lambrusco, che tra il fiume Secchia e il Panaro si mostra nella sua veste rosata con il Lambrusco di Sorbara, varietà capace di donare vini caratterizzati da forte acidità e sapidità. Dalle tinte purpuree è invece il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, dai tipici profumi di frutta rossa e frutti di bosco, sempre sorretto da buona freschezza e una piacevole sapidità.
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Letizia Porcini,
febbraio 2025
Letizia Porcini è Esperta Assaggiatrice ONAV, Wine Educator e redattrice per guide e riviste di settore
Letizia Porcini è Esperta Assaggiatrice ONAV, Wine Educator e redattrice per guide e riviste di settore