Anna e Marco si accomodano al tavolo di un favoloso ristorante per una cenetta romantica. Il maître di sala si avvicina e, dopo i consueti convenevoli, sussurra: «Torno subito da voi con la carta dei vini». Marco lo ferma: «No grazie, abbiamo portato una bottiglia da casa». Al netto del gelido imbarazzo che cala inesorabile, Marco, in fondo, non ha fatto altro se non esercitare un diritto: il famoso diritto di tappo. Il tema per la verità è molto scivoloso e divisivo. C’è chi pensa che si tratti di un gesto alquanto inelegante (per usare un eufemismo). Altri ritengono che sia una soluzione intelligente e furba, soprattutto se si considera la spinosa questione legata ai rincari (talvolta stellari) sul valore effettivo di questa o quella bottiglia in carta.
Nei paesi anglosassoni il diritto di tappo è normale consuetudine. Nessuno da quelle parti strabuzza gli occhi se dalla di lei borsa spunta all’improvviso una bottiglia di Barolo. E in Italia? Diciamo che iniziano ad esserci timidi tentativi qua e là. Il che, in ogni caso, non significa che anche da noi non si possa tentare «il colpaccio».
Chi volesse provarsi in questa impresa però deve sapere che l’esercizio di questo diritto comporta una «tassa»: il ristoratore, infatti, metterà nel conto finale una voce che include il servizio di sala (professionalità, stappatura e mescita), l’utilizzo dei calici adeguati e il lavaggio dei medesimi. Voce molto discrezionale che dipende naturalmente dal prestigio del ristorante. In media si parla di una cifra che può oscillare tra i 5 e i 10 euro, ma attenzione, non è affatto scontato che sia sempre così.
Detto ciò, per esercitare questo diritto è bene seguire delle regole che si possono definire semplicemente di buon senso o buona educazione. Eccole:
Chiara Risolo,
maggio 2023