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Sagrantino, un vino "amarognolo"

ViniUmbriaSagrantino, un vino "amarognolo"

Un vino “amarognolo” che accompagna piatti succulenti e dalla complessità aromatica. Dal sugo d’oca al ragù di cinghiale, passando per brasato e pecorini... Scopritelo qui

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Tra le cristalline fonti del Clitunno, la fiorita Spello, le Cascate del Menotre, la Valle del Nera, Rasiglia (nota anche come la “Venezia dell’Umbria”), le sponde del Lago Trasimeno e l’etrusca Perugia, l’Umbria non manca certo di bellezze naturalistiche e culturali. In questa fascinosa enclave s’inserisce a pieno titolo Montefalco, denominata anche “la ringhiera dell’Umbria” e annoverata tra “i borghi più belli d’Italia”. Dalle sue mura, infatti, è possibile osservare a 360 gradi il panorama circostante, dal Monte Subasio sino ai boschi dei Monti Martani. Ribattezzata Montefalco intorno al XIII secolo, sostituendo l’antico nome di “Coccorone”, forse per merito dei falchi di Federico II di Svevia che avrebbero scelto questo colle come dimora, con la sua struttura radiocentrica, è un vero gioiello di urbanistica. Le vie principali tagliano il borgo convergendo verso la centrale Piazza del Comune. È questo il luogo, tra storia antica e moderna, cui appartiene il vitigno più importante della regione: il Sagrantino.

La storia

Non si conosce molto delle origini di quest’uva, descritta probabilmente già da Plinio il Vecchio nel suo De Naturalis Historia e denominata Itriola. Alcune ipotesi sulla sua provenienza hanno identificato l’Asia Minore come patria di origine, sebbene recenti indagini genetiche operate dalla “Commissione per lo studio ampelografico dei principali vitigni ad uve da vino coltivati in Italia” del Mipaaf hanno evidenziato che il Sagrantino non presenta somiglianze con altri vitigni ivi compresi quelli asiatici. Per quanto concerne il suo nome, la teoria più avvalorata riconosce il legame con il termine latino “sacrum” da cui deriverebbe giustificando il legame con gli ordini Monastici che vinificavano queste uve per trarne il vino da usare nella celebrazione della messa. Diverse sono, in ogni caso, le testimonianze che riferiscono della presenza di questo vitigno nell’areale di Montefalco dal Medioevo in avanti, con tanto di regole di coltivazione e produzione, sebbene per il primo disciplinare bisognerà attendere la fine degli anni ’70. È doveroso, a tal proposito, rammentare che il Sagrantino di Montefalco, nella sua veste di vino secco, è nato soltanto in un secondo momento in quanto la produzione più antica riguardava la sua versione passita e, dunque, dolce. La tradizione dei vini passiti è così radicata nel territorio da aver condotto alla fondazione, nel Comune di Montefalco, del Centro Nazionale Vini Passiti. Ad ogni modo, dopo il riconoscimento della DOC nel 1979 e della DOCG nel 1992, che in entrambi i casi annoveravano all’interno del medesimo disciplinare tanto la versione secca quanto quella passita, il Sagrantino di Montefalco è entrato a pieno titolo nell’Olimpo delle denominazioni italiane rappresentando ad oggi uno dei più grandi vini del panorama enoico nazionale.

Le caratteristiche del Sagrantino

Come si evince dal disciplinare, la sua produzione è strettamente riservata a uve Sagrantino in purezza (diversamente dal Montefalco Rosso che prevede una base di Sangiovese con un saldo di Sagrantino entro il 10-15% del totale). Il loro utilizzo esclusivo, consente di realizzare prodotti inconfondibili nel loro profilo organolettico, dotati di grande struttura e potenziale evolutivo in virtù della ricchezza di polifenoli. Il Sagrantino di Montefalco è un vino di grande personalità, complesso, profondo, che grazie al proprio corredo in termini di tannini, antiossidanti naturali, non teme la sfida del tempo, anzi, si presta egregiamente all’invecchiamento. Occorre tuttavia grande esperienza e conoscenza della materia per domare il corredo tannico del Sagrantino, per gestirne tanto la maturazione in pianta quanto la sua “irruenza” nel calice giacché esso si mostra sempre ben presente, anche a distanza di anni. A questo proposito, il disciplinare impone un periodo di invecchiamento obbligatorio minimo pari a 33 mesi, di cui almeno 12 in legno per quanto concerne la tipologia “secco”. Al pari della tipologia Passito, sono inoltre necessari almeno 4 mesi di affinamento in bottiglia prima della messa in commercio. Venendo quindi al Passito, il disciplinare prevede che le uve subiscano un processo di appassimento naturale, sui graticci, con controllo dell’umidità, per un periodo di almeno due mesi. Nel calice il Sagrantino di Montefalco DOCG, nella sua versione secca, si presenta color rubino intenso che con gli anni volge verso sfumature granata. Al naso si mostra articolato e complesso, con note di frutta scura e spezie, quindi tostature, torrefazione, nuance balsamiche, sentori di liquirizia e sottobosco arricchiti da pellame e, talvolta, tartufo. Il sorso è vivo, potente, dal tannino sempre in bella vista, la cui trama sarà ben serrata e tesa laddove i produttori avranno saputo ben gestire questa potenza scalpitante, senza virare eccessivamente su chiose amaricanti o grana imprecisa. Queste “durezze” saranno poi ammorbidite nel caso del Passito, dove il residuo zuccherino giungerà in soccorso per intenerire le asperità di questo vitigno così ricco di carattere.

Sagrantino: gli abbinamenti

Negli abbinamenti, sarà necessario tenere sempre a mente questa ben definita personalità del Sagrantino, così come la sua tendenza “amarognola” al gusto dovuta al tannino. Occorrerà dunque selezionare dei piatti ricchi di succulenza, ideali per compensare il potere “asciugante”, con tendenza dolce e dalla struttura mai esile per non essere sovrastati. La scelta ricadrà prevalentemente sulla carne, scegliendo dei piatti in linea anche con la complessità aromatica che quest’uva è in grado di sprigionare: potremo optare, dunque, per degli gnocchi al sugo d’oca o degli strangozzi al ragù di cinghiale. Tra i secondi potremo scegliere, per non sbagliare, un brasato o uno stracotto al Sagrantino, sebbene anche una faraona in umido o un’anatra arrosto con purea di mele potranno rappresentare delle valide alternative, oltre ovviamente a preparazioni a base di selvaggina da pelo. Per concludere il pasto con il Sagrantino Passito, la scelta ci porterà verso la pasticceria secca o del cioccolato fondente, ma anche crostate alle confetture di frutti di bosco e, perché no, locali pecorini stagionati.

Alessandro Brizi,
febbraio 2024

Alessandro Brizi
Alessandro Brizi
Alessandro Brizi è caporedattore de L’Assaggiatore, la rivista ufficiale dell’ONAVAssociazione Nazionale Assaggiatori Vino.
Fondata nel 1951 a Asti, ONAV è la prima organizzazione a dedicarsi all’approfondimento del mondo del vino in Italia. Presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e in espansione all’estero, attraverso le Sezioni locali ONAV diffonde la conoscenza del bere consapevole, la valorizzazione del patrimonio enologico italiano e la formazione continua di appassionati e professionisti competenti, organizzando corsi e seminari, in presenza e online, e partecipando come partner a iniziative dedicate al vino su tutto il territorio nazionale. Il rigore del metodo di assaggio è garantito dal Comitato Scientifico, guidato dal Prof. Vincenzo Gerbi dell’Università di Torino e composto da importanti esponenti del mondo scientifico ed enologico.
Alessandro Brizi è caporedattore de L’Assaggiatore, la rivista ufficiale dell’ONAVAssociazione Nazionale Assaggiatori Vino.
Fondata nel 1951 a Asti, ONAV è la prima organizzazione a dedicarsi all’approfondimento del mondo del vino in Italia. Presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e in espansione all’estero, attraverso le Sezioni locali ONAV diffonde la conoscenza del bere consapevole, la valorizzazione del patrimonio enologico italiano e la formazione continua di appassionati e professionisti competenti, organizzando corsi e seminari, in presenza e online, e partecipando come partner a iniziative dedicate al vino su tutto il territorio nazionale. Il rigore del metodo di assaggio è garantito dal Comitato Scientifico, guidato dal Prof. Vincenzo Gerbi dell’Università di Torino e composto da importanti esponenti del mondo scientifico ed enologico.

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