«Buono perfino da mangiare». Questa è l’espressione che spesso accompagna l’analisi sensoriale del Primitivo, vitigno a bacca nera tipico della Puglia (presente, per la verità, anche in Abruzzo, Campania, Basilicata, anche se in aree vitate più circoscritte). Deve il suo nome, che deriva dal latino Primativus, alla maturazione precoce. La vendemmia, infatti, si colloca indicativamente tra la metà di agosto e i primi di settembre.
Di colore rosso rubino intenso, talvolta impenetrabile, trova la sua unicità nell’indiscutibile struttura, nell’eccelsa corposità e nella trama tannica fitta e dominante. È un rosso fruttato per eccellenza con ottima persistenza: svettano more, prugne e amarene, oltre a precisi sentori di viola e spezie. Non c’è che dire, si fa notare al naso e al palato. Che deve necessariamente accompagnare menu elaborati che possano mitigarne l’assoluta opulenza. In questo caso, vincono a mani basse primi piatti fatti con sughi di carne, formaggi stagionati, anche piastrati, carni rosse cotte sulle braci e succulenti arrosti.
Ha un passato soprattutto come vino da taglio (che serve cioè per correggere e/o bilanciare caratteristiche di altri vini, in genere deboli per gradazione alcolica e colore), ma negli ultimi anni, grazie a tecniche di lavorazione più innovative e alla lungimiranza di alcuni produttori, si è conquistato un posto d’onore nell’Olimpo enoico italiano. Mai sentito parlare di Primitivo di Manduria Doc o di Primitivo di Manduria Dolce Naturale DOCG, tipiche della zona tra Brindisi e Taranto? Appunto. Basta sfogliare le guide, anche le più prestigiose, per accorgersi di come il numero di cantine pugliesi che fanno capo a queste denominazioni sia sempre più importante.
Una curiosità: sembra che il Primitivo abbia il suo omologo per caratteristiche organolettiche in California, ovvero il vitigno Zinfandel che, a sua volta, dovrebbe essere originario della Croazia, proprio come il vino pugliese.
Chiara Risolo,
dicembre 2023