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Barolo: il re dei vini, il vino del re

ViniPiemonteBarolo: il re dei vini, il vino del re

“Il re dei vini, il vino dei re” così è definito il Barolo, eccellenza fra le eccellenze del Piemonte. Perfetto con tartufo, risotti, gulasch o tacchino ripieno al forno

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La storia di questo prodotto iconico inizia molto prima della nascita della DOC (1966) giacché diverse testimonianze riferiscono che vini ottenuti da uve Nebbiolo e talora chiamati ‘Barolo’ erano già in circolazione durante la metà del XIX secolo. Tuttavia, si trattava di prodotti ben diversi da quelli che conosciamo oggi, non soltanto per quanto riguarda i metodi produttivi ma anche in virtù delle caratteristiche organolettiche degli stessi, prima fra tutti, la presenza di effervescenza. Erano prodotti poco stabili, in cui le fermentazioni alcoliche non arrivavano mai a terminare gli zuccheri, lasciando un residuo dolce nel calice, potenziale causa di rifermentazioni involontarie con conseguente deperimento del prodotto.  Qualcosa cambiò, però, grazie all’intervento di figure del calibro di Camillo Benso Conte di Cavour e Carlo Alberto di Savoia. Entrambi, avevano sviluppato un certo interesse verso il prodotto enologico delle affascinanti terre dell’albese, le Langhe, “lingue di terre” dalla particolare conformazione che disegna strette colline. Accanto ad essi, un peso importante lo ebbe anche una donna: Juliette Colbert de Maulévrier sposata con Carlo Tancredi Falletti di Barolo e dalle antiche tradizioni enologiche famigliari. Ottima conoscitrice dei vini francesi, ebbe l’intuizione di migliorare l’uso che sino a quel momento si era fatto in Piemonte del Nebbiolo facendosi aiutare dagli enologi che hanno scritto la storia del Barolo: Louis Oudart e Paolo Francesco Staglieno. Ispirandosi alle tecniche francesi, tra i loro contributi più rilevanti ci fu la completa fermentazione degli zuccheri, senza più residui: il risultato vide una produzione enologica completamente in secco, più stabile e, con l’introduzione del legno nella maturazione, con effetti di una maggiore “morbidezza” nel calice. Era nato il Barolo moderno

I Barolo Boys

Ottenuta la DOCG nel 1980, in quegli stessi anni una nuova rivoluzione fece capolino nel mondo barolista, trainata dall’impeto di un gruppo di amici passato alla storia come i “Barolo Boys” ai quali è stato persino dedicato un film. L’innesco di questa reazione, piuttosto energica, è da ricercare nella seconda metà degli anni ’70, a seguito di annate molto difficili, in cui le uve stentavano a maturare e dare risultati soddisfacenti. I viticoltori piemontesi, contadini di estrazione, erano in molti casi obbligati a vendere le uve senza neppure vinificarle, facendo il gioco degli imbottigliatori industriali che decidevano ormai le sorti del settore, pagando sempre meno per la materia prima e riducendo i contadini in una sempre più grave condizione di povertà.  Elio Altare, all’epoca poco più che ventenne, si ribellò per primo a tutto questo e dopo un viaggio in Francia che gli aveva letteralmente aperto gli occhi su un nuovo modo di concepire il vino, scelse di passare al legno piccolo della barrique. Assieme a lui, personaggi come Chiara Boschis, Gianni Voerzio e altri si unirono a questa nuova corrente che condurrà verso una vera e propria querelle tra innovatori e tradizionalisti, quest’ultimi rimasti fedeli a un prodotto completamente diverso da quello che i Barolo Boys avevano generato.

Un territorio, una ricchezza

La ricchezza del Barolo, del resto, è frutto di uno straordinario territorio, al netto delle 181 MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive) che lo compongono per un totale di circa 1700 ettari distribuiti all’interno degli 11 comuni di Barolo, Grinzane Cavour, Castiglione Falletto, Roddi, Cherasco, Novello, La Morra, Diano d’Alba, Serralunga d’Alba, Monforte d’Alba e Verduno. La principale distinzione, ad ogni modo, si riconduce all’origine dei suoli su cui dimorano i vigneti: Elveziani (i più antichi, originatisi fra 14 e 11 milioni di anni fa) e Tortoniani (fra 11 e 7 milioni di anni fa). I primi tendono a conferire al Barolo longevità e potenza mentre i secondi portano maggior immediatezza, un frutto più evidente e tannini meno “aspri”. Al netto di ciò, un calice di Barolo, da uve Nebbiolo 100%, si presenta di colore rosso rubino con riflessi granata più o meno intensi in funzione dell’annata. Lo spettro olfattivo si snoda tra sentori floreali di viola e rosa, note di lampone, prugna, amarena, ribes nero ma anche fieno, muschio, balsamicità di pino e menta, cui si possono aggiungere pellame, spezie, goudron e tostature. Il sorso si mostra di buona tensione, mai eccessivamente opulento ma sempre equilibrato nelle sue componenti, di ottima struttura e mediamente alcolico, talora con chiosa sapida. Per la sua produzione, il Barolo richiede minimo 38 mesi di maturazione che salgono a 62 per la menzione “Riserva” e, in entrambi i casi, sono obbligatori almeno 18 mesi di affinamento in legno. 

Gli abbinamenti

Per accompagnare un Barolo ci si affida in primis a piatti ricchi di succulenza, specialmente con le bottiglie più giovani, per sposare i tannini ancora nel pieno della loro vigoria, come un filetto di manzo accompagnato da una salsa o un fondo bruno, una lepre in civet accompagnata da polenta o, ancor meglio, un brasato al Barolo. Anche il tartufo può trovare il proprio sposalizio con il Barolo, incontrandone profumi e complessità olfattiva: potrete optare per dei Tajarin al tartufo bianco d’Alba o una tagliata di Fassona sempre con scaglie di tartufo bianco. Con i risotti, accanto al classico al Barolo, occorrerà sempre mantenere una componente sapida, scegliendo carne suina come salsicce o speck, per accompagnare anche la componente tannica e i profumi del calice in abbinamento. Volendo optare per un piatto di maggiore struttura, ci sposteremo verso un Riserva, che accanto a un Gulasch o un tacchino ripieno al forno farà esattamente al caso nostro.

Alessandro Brizi,
febbraio 2024

Alessandro Brizi
Alessandro Brizi
Alessandro Brizi è caporedattore de L’Assaggiatore, la rivista ufficiale dell’ONAVAssociazione Nazionale Assaggiatori Vino.
Fondata nel 1951 a Asti, ONAV è la prima organizzazione a dedicarsi all’approfondimento del mondo del vino in Italia. Presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e in espansione all’estero, attraverso le Sezioni locali ONAV diffonde la conoscenza del bere consapevole, la valorizzazione del patrimonio enologico italiano e la formazione continua di appassionati e professionisti competenti, organizzando corsi e seminari, in presenza e online, e partecipando come partner a iniziative dedicate al vino su tutto il territorio nazionale. Il rigore del metodo di assaggio è garantito dal Comitato Scientifico, guidato dal Prof. Vincenzo Gerbi dell’Università di Torino e composto da importanti esponenti del mondo scientifico ed enologico.
Alessandro Brizi è caporedattore de L’Assaggiatore, la rivista ufficiale dell’ONAVAssociazione Nazionale Assaggiatori Vino.
Fondata nel 1951 a Asti, ONAV è la prima organizzazione a dedicarsi all’approfondimento del mondo del vino in Italia. Presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e in espansione all’estero, attraverso le Sezioni locali ONAV diffonde la conoscenza del bere consapevole, la valorizzazione del patrimonio enologico italiano e la formazione continua di appassionati e professionisti competenti, organizzando corsi e seminari, in presenza e online, e partecipando come partner a iniziative dedicate al vino su tutto il territorio nazionale. Il rigore del metodo di assaggio è garantito dal Comitato Scientifico, guidato dal Prof. Vincenzo Gerbi dell’Università di Torino e composto da importanti esponenti del mondo scientifico ed enologico.

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