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Franciacorta: storia, tipologie e abbinamenti

ViniLombardiaFranciacorta: storia, tipologie e abbinamenti

Ottimo come aperitivo, si accompagna a fritture di pesce, antipasti di crostacei e crudi di mare così come primi piatti e risotti a base di pesce o verdure. Ecco tutto quello che serve sapere raccontato da un esperto dell’ONAV

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È del 1227 la prima menzione del termine “franciacorta”, che si riscontra negli annali del Comune di Brescia. L’ipotesi maggiormente accreditata circa l’etimologia di questa parola trova spiegazione nella derivazione del latino curtae francae, Corti Franche, ovvero zone affrancate dal pagamento dei dazi. Questa speciale condizione era nata per merito dei monaci di Cluny, giunti in queste terre intorno al XI secolo. La loro importante opera di bonifica consentì la successiva riqualificazione agricola dell’area. In breve tempo, dunque, questi monasteri acquisirono un potere sempre maggiore tanto da consentire loro di richiedere l’esenzione dal pagamento dei dazi, trasformandoli, a tutti gli effetti, in una zona “franca”. Nacque così il toponimo Franzacurta, per designare quell’areale incastonato tra il Lago d’Iseo e il Monte Orfano, un vero e proprio anfiteatro di origine morenica, disegnato dal ritiro del ghiacciaio che durante le glaciazioni aveva ricoperto questa zona. Risulta sorprendente, poi, scoprire che proprio qui la spumantizzazione faceva parte della tradizione vinicola ancor prima che il cellario di Hautvillier, il celebre Dom Pierre Pérignon, codificasse la rifermentazione in bottiglia attraverso quello che oggi chiamiamo Metodo Classico e che nel 1690 era, più precisamente, méthode champenoise. A conferma di questa affermazione si trova supporto nel Libellus de vino mordaci del 1570 scritto da Girolamo Conforti, medico bresciano. Nella sua opera Conforti descrive questi vini che spiccano per il loro brio, dovuto, esplicitamente, alla presenza di bollicine. Peraltro, le sue parole li riferiscono come tutt’altro che dolci, molto diversi, quindi, anche dalle prime mode dello Champagne che, per lungo tempo, è stato consumato con importanti residui zuccherini, almeno sino all’avvento della prima partita di Champagne Very dry prodotta da Bollinger, nella seconda metà del Settecento. Questi vini della tradizione cinquecentesca, dunque, nascevano primariamente come metodi ancestrali in cui non si svolgevano ancora due fermentazioni ma una soltanto. Non erano infatti ancora disponibili quelle bottiglie dal vetro più spesso e più resistenti, necessarie per contenere lo sviluppo di pressione della seconda fermentazione, che soltanto l’Inghilterra del XVII secolo inizierà a produrre. Si cercava, tuttavia, di allungarne i tempi di fermentazione dei vini così da poter “intrappolare” in qualche modo la porzione “pungente” e gassosa, aggiungendo chicchi d’orzo al mosto

Franciacorta: le tipologie

Si dovranno però attendere gli anni '60 del secolo scorso per giungere alla prima codifica di un prodotto identificativo ottenuto con il Metodo Classico: il merito è di Franco Ziliani, con il suo Pinot di Franciacorta. Come è accaduto per gli altri importanti distretti spumantistici d’Italia quali Alta Langa, Oltrepò Pavese e Trento, il modello di riferimento cui ispirarsi fu la Francia. Non a caso, infatti, la base ampelografica per la produzione del Franciacorta, che oggi identifica non soltanto un territorio ma anche un vino e il suo metodo, si fonda su Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Bianco ai quali si sta accompagnando negli ultimi anni, in modo sempre crescente, l’Erbamat, un antico vitigno locale che consente di aumentare la freschezza dei vini bilanciando la tendenza che il cambiamento climatico ha comportato con l’aumento delle temperature e relativi cali di acidità nei mosti. Accanto alla versione standard si trovano le tipologie Rosé e Satèn. Quest’ultima vuole essere un richiamo alla “setosità” del perlage che si mostra più carezzevole, dato il limite massimo di pressione fissato a 5 atmosfere; a questo scopo, il disciplinare impone anche un limite circa l’aggiunta di zuccheri per la rifermentazione in bottiglia di 20 g/l. L’unico dosaggio consentito per il Franciacorta Satèn, poi, è il Brut mentre per le altre versioni sono ammessi dal Pas Dosé al Demi-sec. Il tempo di permanenza sui lieviti, dopo l’imbottigliamento per la presa di spuma, varia da un minimo di 18 mesi, per il Franciacorta standard, ai 24 richiesti per il Satèn e il Rosé che salgono a 30 per i millesimati, fino ai 60 mesi richiesti per riportate in etichetta la menzione Riserva. Nel calice, dal paglierino si passa al rosa cipria più o meno intenso dei rosé. Al naso si presentano le tipiche note della rifermentazione in bottiglia che richiamano la crosta di pane, la brioche, la piccola pasticceria o la crema pasticcera. Ad esse si accompagnano toni agrumati di pompelmo, mandarino o cedro, frutta secca, e richiami fruttati più decisi che ricordano la pesca, la mela, la pera ma anche sfumature floreali. Il sorso, fresco e tendenzialmente sapido, si presenta maggiormente cremoso nel caso dei Satèn, e con richiami di piccoli frutti rossi per i rosé. Talvolta, il finale può lasciare piacevoli sensazioni burrose qualora le basi abbiano subito un passaggio in legno.

Franciacorta: fritture, antipasti di pesce, risotti

Ottimo come aperitivo, il Franciacorta, va servito tra gli 8 °C e i 12 °C al netto di annate e tipologia. Fritture di pesce, ma anche antipasti di crostacei e crudi di mare saranno perfetti come abbinamento per le versioni “a dosaggio zero”, così come primi piatti e risotti a base di pesce o verdure. Qualora si volessero abbinare dei formaggi, sarà meglio preferire stagionature minime fatta eccezione per i Pas Dosé che possono bene accompagnarsi anche con il Grana Padano. Con un Satèn si potrà accostare un piatto di polenta con formaggio Bagoss oppure dei ravioli con ripieno di tinca, mentre il pesce di lago si sposerà meglio con le versioni Riserva.

Alessandro Brizi,
gennaio 2024
Alessandro Brizi
Alessandro Brizi
Alessandro Brizi è caporedattore de L’Assaggiatore, la rivista ufficiale dell’ONAVAssociazione Nazionale Assaggiatori Vino.
Fondata nel 1951 a Asti, ONAV è la prima organizzazione a dedicarsi all’approfondimento del mondo del vino in Italia. Presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e in espansione all’estero, attraverso le Sezioni locali ONAV diffonde la conoscenza del bere consapevole, la valorizzazione del patrimonio enologico italiano e la formazione continua di appassionati e professionisti competenti, organizzando corsi e seminari, in presenza e online, e partecipando come partner a iniziative dedicate al vino su tutto il territorio nazionale. Il rigore del metodo di assaggio è garantito dal Comitato Scientifico, guidato dal Prof. Vincenzo Gerbi dell’Università di Torino e composto da importanti esponenti del mondo scientifico ed enologico.
Alessandro Brizi è caporedattore de L’Assaggiatore, la rivista ufficiale dell’ONAVAssociazione Nazionale Assaggiatori Vino.
Fondata nel 1951 a Asti, ONAV è la prima organizzazione a dedicarsi all’approfondimento del mondo del vino in Italia. Presente in maniera capillare su tutto il territorio nazionale e in espansione all’estero, attraverso le Sezioni locali ONAV diffonde la conoscenza del bere consapevole, la valorizzazione del patrimonio enologico italiano e la formazione continua di appassionati e professionisti competenti, organizzando corsi e seminari, in presenza e online, e partecipando come partner a iniziative dedicate al vino su tutto il territorio nazionale. Il rigore del metodo di assaggio è garantito dal Comitato Scientifico, guidato dal Prof. Vincenzo Gerbi dell’Università di Torino e composto da importanti esponenti del mondo scientifico ed enologico.

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