Se dovessimo rappresentare l’Italia enologica con un solo vino, pensando alla notorietà e alle vendite, questo vino sarebbe, senza ombra di dubbio, il Prosecco. Due le denominazioni: Prosecco DOC che nel 2022 è valso 638,5 milioni di bottiglie, e la DOCG Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene, areale storico del vino che, sempre lo scorso anno, ha prodotto oltre 100 milioni di bottiglie per un valore totale delle due denominazioni di oltre 3 miliardi e mezzo di euro. Numeri da capogiro, alla luce di una filiera in crisi di vendite per tutte le altre tipologie e, soprattutto, in considerazione del fatto che otto bottiglie su dieci di Prosecco, DOC o DOCG che sia, vengono vendute sui mercati esteri.
Al netto dell’ampia geografia della DOC Prosecco, che comprende quasi tutto il Veneto, esclusa la provincia di Verona, e l’intero territorio del Friuli Venezia Giulia, il cuore storico di questo vino è rappresentato dalle colline di Conegliano e Valdobbiadene, nel trevigiano. Tra montagne e laguna, i vigneti delle colline di Conegliano e Valdobbiadene godono di suoli di marne arenarie alternati a strati morenici e alluvionali prodotti dal sollevamento di antichi fondali marini trasformati, nei secoli, dai movimenti di ghiacciai e fiumi. Il clima è subcontinentale, con piogge abbastanza frequenti proprio durante l’estate. Un territorio vario e poliedrico, oltre che affascinante dal punto di vista estetico che è valso, nel 2019, l’iscrizione dei Colli di Conegliano e Valdobbiadene tra i 59 siti italiani presenti nella lista del patrimonio mondiale dell’Umanità Unesco in qualità di paesaggio culturale, come già accaduto per le Cinque Terre, la Costiera Amalfitana, le Langhe col Roero e il Monferrato, e ancora la Val d’Orcia, le Ville e i Giardini Medicei, il Cilento, il Vallo di Diano e i Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia.
Da un punto di vista storico, l’areale vanta un’antica tradizione enoica, di cui se ne trovano testimonianze nelle lapidi dei coloni romani rinvenute in loco. La successiva vocazione alla produzione di vini bianchi è confermata da documenti del Duecento e poi ancora da carteggi del periodo Rinascimentale, con l’esportazione dei vini di Conegliano e Valdobbiadene da parte della Serenissima. Il resto è storia d’oggi, frutto delle “invenzioni” di Antonio Carpenè che, nell’Ottocento, hanno traghettato il Prosecco verso la modernità, e il successo, da trent’anni a questa parte, che segna la quotidianità di questa eccellenza made in Italy.
Oltre che storica, tuttavia, la viticoltura del Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene è anche eroica. Le caratteristiche morfologiche della zona (15 comuni), con i declivi scoscesi e un assetto collinare spezzettato composto da diversi versanti e un’infinità di giaciture “costringono” i vignaioli, soprattutto nei fondi di media e alta collina, a un approccio estremo. Oltre 600, infatti, le ore di lavoro nel vigneto nei campi ubicati tra i 100 e i 500 metri di altitudine, rispetto alle poco più di 150 necessarie in pianura. Aspetto cruciale quest’ultimo, oltre che economico, tale da rendere unico e sempre diverso questo nostro vino. I Prosecco della DOCG, tutti spumanti per la quasi totalità prodotti con rifermentazione in autoclave, devono essere ottenuti da uva Glera per non meno dell’85%, con eventuale saldo di Verdiso, Bianchetta trevigiana, Perera e Glera lunga.
Fiore all’occhiello della DOCG è la sottozona di Cartizze, 106 ettari in quel di San Pietro di Barbozza, frazione di Valdobbiadene in un contesto morfologico da anfiteatro naturale che produce, secondo i più, il massimo, in termini qualitativi, della denominazione. Altra menzione di qualità è poi quella delle Rive. I vini con l’indicazione delle 43 Rive sono realizzati esclusivamente con uve provenienti da un unico comune o da una frazione di esso. Il termine è nato per valorizzare i vigneti posti in terreni scoscesi, le “rive” appunto, che danno rese più basse e necessitano di maggiori accortezze durante tutte le lavorazioni.
Al netto del residuo zuccherino, che può andare dagli asciutti Extra Brut sino agli “amabili” Dry, il Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene si presenta nel calice di colore paglierino con perlage sottile e persistente. L’olfatto è fragrante di fiori di campo, pera estiva, agrumi, mela verde, pesca, frutta tropicale e ancora felce e cenni balsamici. In bocca freschezza, leggiadria, sapidità e, soprattutto, una bevibilità da record, sono i tratti significativi di un vino dal successo planetario. Tante le occasioni di abbinamento, dal semplice aperitivo o le fritture sino ad alcuni dessert a base di frutta, a patto però che questi ultimi siano poco dolci. Nel mezzo troviamo veramente di tutto, dalla cucina di pesce ai salumi sino alle preparazioni della cucina vegetariana. Perfetto con crostacei e molluschi, ottimo con i primi piatti della cucina marinara, risotti in primis, e appagante anche con i secondi di pesce bianco. Come accennato in precedenza, le verdure per il Prosecco Superiore non sono mai un limite ma una opportunità di piacere. Proverbiale e territoriale l’abbinamento con il radicchio, letteralmente declinato in tutte le salse e sorprendente, infine, l’accostamento delle versioni Dry, Cartizze in special modo, con il carciofo alla giudia, piatto a dir poco ostico nell’accostamento con il vino. Insomma, servito fresco tra 6 e 8°C, un calice di Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene si presenta perfetto in molteplici se non infinite occasioni, oltre a rappresentare, orgogliosamente, un pezzo di storia e di successo del vino italiano nel mondo.