Friulano, un tempo noto come Tocai Friulano, e Schioppettino sono le due facce storiche e tradizionali, se non popolari, della viticoltura del Friuli Venezia Giulia. Il primo, a bacca bianca, e il secondo, rossa, rappresentano la storia viticola della regione e, in questa, delle due aree di maggior pregio e rinomanza che rispondono al nome di Collio e Colli Orientali.
Nobili e fiabesche le origini nella regione del Friulano, dove l’omogeneità genetica con una varietà poco diffusa di Sauvignon, detta Sauvignonasse o Sauvignon vert, ha reso plausibile la tesi che l’uva fosse stata importata dalla Francia successivamente al matrimonio, nel 1868, tra il conte Theodor de La Tour e la baronessa Elvine Ritter de Zàhony. Un amore sui generis per l’epoca: lei protestante, lui cattolico oltre che perito agrario e viticoltore, con la baronessa a portare in dote, tra le altre cose, anche un grande appezzamento a Russiz, nel cuore del Collio, dove il marito non aspetta tempo per sperimentare nuove varietà e realizzare una viticoltura all’avanguardia per questa zona. Un’altra ipotesi, invece, lo vuole legato al vitigno ungherese Furmit, il più importante del Tokaji magiaro cui abbiamo dovuto cedere il nome dal 2007 per un accordo tra Unione Europea e Ungheria risalente al 1993. La tesi si fonderebbe su quanto scritto nel contratto matrimoniale del 1632 tra la contessa Aurora Formentini e il conte ungherese Adam Batthyany dove, tra i beni portati in dote dalla nobildonna della casata di San Floriano del Collio, troviamo “300 vitti di Toccai”, allevate nei fondi di Mossa e San Lorenzo Isontino.
Al netto delle due ipotesi, ciò che salta agli occhi è l’appartenenza storica di questa varietà al Collio goriziano, luogo da cui poi si sarebbe diffusa prima nei Colli Orientali e quindi nelle altre zone vinicole della regione. Nel Collio i suoli calcarei-argillosi, chiamati localmente ponca (impasto di marna e arenaria ricco di microelementi disponibili), insieme al clima equilibrato dagli influssi del mare, creano un ambiente ideale per il Friulano, soprattutto nel circondario di Cormòns e in parte di Capriva: in particolare nelle frazioni di Brazzano, Zegla, Plessiva e Novali nel comune di Cormòns e Spessa in quello di Capriva, oltre a qualche altra zona in quel di Mossa, poco più a sud. Freschezza e sapidità contraddistinguono i vini da Friulano nel Collio, “appendice” gustativa di un quadro olfattivo ampio, con note di ginestra e acacia in bella mostra, quindi mandorla, segno distintivo del vitigno, pomi mediterranei, susine gialle e agrumi. Non mancano le note erbacee di timo e talvolta anche di rosmarino. Non molto diverso il risultato enologico nella più ampia zona dei Colli Orientali, se non per una maggiore morbidezza di fondo e un olfatto a volte più maturo nel carattere fruttato con accenni, talvolta, anche tropicali. A prescindere dalla zona, i vini da Friulano si accompagnano perfettamente alla cucina di pesce della tradizione italiana, esaltando le doti aromatiche di crostacei, pesci azzurri e pescato di fondale. Perfetto anche l’abbinamento con il Prosciutto crudo, non solo San Daniele, ma anche Parma, Carpegna e le altre eccellenze della norcineria nazionale. Ottimo, infine, con i primi a base di funghi e le frittate di verdure. Da servire in bicchieri a tulipano a una temperatura compresa tra 8 e 12°.
Più antica la storia dello Schioppettino, conosciuto anche con il nome di Ribolla Nera o Pokalca e risalente, nella zona dei Colli Orientali, al XIII secolo. Il nome deriverebbe dalla locuzione dialettale “sclop”, che significa schiocco o schioppo, termini di natura onomatopeica legati alla “croccantezza” degli acini di Schioppettino al momento della perfetta maturazione. Secondo la tradizione contadina, infatti, masticandoli produrrebbero in bocca un rumore simile a quello di uno schiocco o di uno schioppo. Non molto produttivo, predilige terreni argillosi e calcarei, di qui la sua culla enologica nella zona di Prepotto, ed è generalmente tardivo, con una maturazione che si perfeziona in autunno. Abbastanza resistente alle malattie è però sensibile alle muffe come oidio e peronospora. Molteplici le versioni enologiche, ma tutte caratterizzate da una eleganza senza tempo. Nei vini più freschi e d’annata spiccano le doti di acidità e sapidità, con note floreali e fruttate preludio di una bocca gentile, soffice ed equilibrata. Nelle tipologie più complesse, tradizionalmente invecchiate in botti grandi, emergono note di more, fragoline, lamponi e mirtilli, poi cenni balsamici, note di viole e ancora, con il tempo, toni di pellame oltre che di spezie. Al sorso velluto e freschezza, un carattere docile e morbido che anticipa un retrolfatto intensamente fruttato e goloso. Versatile nell’abbinamento: primi piatti al ragù anche in bianco, pollame e carni bianche in casseruola, ma anche salumi e ancora, per le versioni più giovani, zuppe di pesce o tonno. I vini invecchiati non disdegnano piatti a base di selvaggina nobile come beccaccia, pernice o il locale gallo forcello, di cui ne esaltano le doti aromatiche senza comprometterne la delicatezza di fondo. Temperatura di servizio, infine, mai superiore ai 17-18° avendo cura di scegliere un calice ampio per i vini invecchiati in legno.
Alessandro Brizi,
agosto 2023