Siete andati probabilmente molte volte nella regione più piccola d'Italia, la Valle D'Aosta, attratti dai suoi scenografici paesaggi e dalla possibilità di praticare sport invernali o scegliere tra le molteplici attività che il territorio offre anche d'estate. Ma questa minuscola regione, con la minor densità abitativa del Paese, offre molti altri spunti per fare la sua conoscenza, vino compreso. Antiche vestigia romane, castelli e fortezze si mostrano al visitatore già dal percorso autostradale, borghi arroccati, chiese, santuari e interessanti musei raccontano una storia millenaria. Ad Aosta, sono tuttora visibili diverse testimonianze: dall’Arco di Augusto alla Porta Pretoria, dalla cinta muraria al teatro, di cui è ancora evidente l’imponente facciata. Da non perdere, all’arrivo in città, la bellissima area megalitica, recentemente ristrutturata, che testimonia seimila anni di storia tra dolmen, stele e corredi funerari. Ma basta appena uscire dal capoluogo per conoscere un altro aspetto altrettanto antico e che spesso sfugge ai più: in Valle d’Aosta si pratica da tempo immemorabile la viticoltura che per le difficoltà orografiche del territorio è più che giusto definire eroica. I vigneti sono situati ad altitudini, via via che ci si addentra in Valle sempre maggiori, dalla pendenza variabile sino a diventare impervia, e rappresentano lembi di terra letteralmente strappati alla montagna dal lavoro dell’uomo svolto nei secoli. Lo testimonia un’iscrizione romana del 63 d.C., ritrovata al colle del Gran San Bernardo e riferibile a un vino offerto da un pretoriano. In un lembo di territorio di soli 56 chilometri, perché questa è tutta la superficie vitata della regione, si nasconde una ricchezza ampelografica che i 18 vitigni autoctoni per ora riscoperti, uno ogni tre chilometri, ben dimostrano. Qui li chiamano Oriou e non sono imparentati geneticamente con alcun altro vitigno proprio perché la viticoltura residente si è sviluppata in modo autonomo colonizzando il terreno con varietà locali, senza mutuarle dai territori vicini. Per conoscere meglio questa realtà, parlare con i viticoltori e assaggiare i loro vini il consiglio è di partire da Aymaville che dista solo 7 chilometri da Aosta. Oltre a visitare l’omonimo castello recentemente restaurato o percorrere lo straordinario Pont d'Ael, acquedotto costruito nel 3 a.C. da Romani che, dall'alto dei suoi 56 metri si affaccia sul torrente Grand Eyvia, avrete la possibilità di approfondire la conoscenza degli Oriou e delle altre varietà coltivate, perché nel borgo hanno sede tre cantine di diverse dimensioni e struttura, che producono vini con grande perizia.
Les Crêtes è la più grande cantina privata della Valle d’Aosta, di proprietà della famiglia Charrère dal 1750 lavora i propri vigneti producendo vini artigianali di qualità. I loro vigneti si sviluppano ai piedi del Monte Bianco, su suoli condizionati da forti dislivelli, ad altitudini elevate tra i 600 e 1.000 metri, con un clima alpino, secco e ventilato, dalle grandi escursioni termiche che arricchiscono il profilo aromatico delle uve. I vitigni autoctoni e internazionali a bacca bianca e nera, si sviluppano su 35 ettari, suddivisi in 9 comuni lungo la Dora Baltea, dall’alta alla bassa Valle.
Cave des Onze Communes è invece una cooperativa vitivinicola. La prima vendemmia nel 1990, conferita da 86 soci, ha dato il via a una crescita aziendale continua e costante, arrivando ora a 160 viticoltori, con il recupero di territori e vigneti destinati all’abbandono. L’attuale superficie vitata totale è costituita da 63 ettari, distribuiti su 11 comuni con altitudini tra 550 e 850 metri. La gamma si articola in vini bianchi, un rosato, rossi affinati in acciaio, legno e pietra, oltre a un Moscato passito.
Didier Gerbelle ha invece origine ufficialmente nel 2006, come proseguimento delle tradizioni di famiglia che affondano le proprie radici all'inizio del XX secolo. Didier, diplomatosi enotecnico nel 2006 ad Alba, rileva l'azienda condotta prima dai nonni paterni, poi dai genitori e vinifica in proprio i grappoli dei suoi circa 2,8 ettari di vigna di proprietà. I suoi impianti sono ubicati nei comuni di Aymavilles e Villeneuve. Le varietà coltivate sono gli autoctoni Petit Rouge, Cornalin, Premetta e Fumin a bacca rossa, oltre a quelle a bacca bianca Pinot Grigio, Gewurztraminer e Blanc Comum. La sua produzione complessiva si aggira intorno alle 15.000 bottiglie annue.
Un vino costituito dalla sola varietà autoctona Fumin che durante la vinificazione matura per 12 mesi in rovere francese da 300 litri, per poi affinare in bottiglia per altri 6. Il nome del vitigno deriva dal colore grigio fumo dei suoi acini dovuto alla pruina che li ricopre, sostanza naturale di consistenza cerosa che, oltre ad aumentare il grado zuccherino all’interno dell’acino, protegge i chicchi da attacchi batterici o parassitari in vigna. Nel calice è rosso rubino intenso con riflessi violacei, per poi avere un naso fruttato, seguito da sentori di spezie tra cui vaniglia, poi ginepro, tabacco e cuoio. All’ingresso in bocca è succoso, fragrante, con una sensazione di morbidezza, una bella persistenza, con liquirizia sul finale. L’abbinamento consigliato è con carne in umido, selvaggina o carne grigliata.
Ottenuto in purezza dall’omonimo vitigno autoctono, dopo la tradizionale vinificazione in bianco, affina in contenitori di granito del Monte Bianco che nell’estate successiva alla vendemmia vengono portati a oltre 2000 metri in una miniera di magnetite a Cogne, dove la temperatura è costante tutto l’anno. Nel calice è di un giallo paglierino intenso, dai lievissimi riflessi dorati, con al naso profumi complessi che vanno dalle note floreali agli agrumi, passando per la frutta esotica. Il palato è ricco di minerali, tra cui la sapidità, supportata da una buona freschezza, con una notevolissima persistenza dal retrogusto di confettura d’agrumi e di miele. L’abbinamento ideale è con formaggi a pasta dura e stagionati, salumi, primi piatti.
Viene prodotto da solo Blanc Comun coltivato nei suoi vigneti dal 2010. Gli studi genetici lo identificano come figlio del Prié Blanc coltivato dalla cantina valdostana di Morgex e La Salle. Prodotto in purezza, in vinificazione dopo la fermentazione alcolica, affina per 6 mesi sui lieviti, per altrettanti in bottiglia. Nel calice brilla di luce lievemente dorata, poi ha un naso dai profumi di erbe di campo, di frutta tra cui la mela, poi ha toni marini iodati, un lieve tocco agrumato a chiudere. Al palato è fresco, poi sapido, scorrevole all’assaggio, con un retrogusto tra il minerale e l’agrumato. Si presta a essere accostato a piatti con pesci d’acqua dolce come la trota oppure il salmerino, entrambi valdostani.
I vini valdostani hanno ottenuto la Denominazione di Origine Controllata (Doc) nel 1971 con il vino Donnas seguita nel 1972 dall’Enfer d’Arvier, vino che nasce all’imbocco della valle del Monte Bianco. Ma la vera svolta per un riconoscimento effettivo è avvenuta nel 1985 con il riconoscimento della prima DOC regionale denominata ‘Valle d’Aosta’ o ‘Vallée d’Aoste’, in onore al bilinguismo valdostano. Il Consorzio di tutela Vini della Valle d’Aosta invece è nato formalmente il 25 marzo del 2022 grazie all’ appassionato lavoro della Vival (Associazione viticoltori valdostani) che per anni ha promosso e tutelato i vini Doc della regione. Al Consorzio aderiscono 48 aziende che rappresentano circa il 97% della produzione regionale di vino DOC, con circa 1,5 milioni di bottiglie destinate al mercato nazionale ed internazionale.
Giovanna Moldenhauer,
marzo 2024