Si sa, l’abbinamento con i piatti di pesce richiede un vino di freschezza, delicatezza e piacevolezza di beva: doti imprescindibili, che la tradizione ci ha abituato ad associare alla fragranza dei bianchi. E se invece si ricercassero nell’eleganza di un rosso? Beh, in questo caso basterebbe bussare alle porte dell’Alto Piemonte.
Storia di una tradizione che fu
Siamo fra le province di Vercelli, Biella, Verbania e Novara, in quella porzione di Piemonte che si incunea verso la Svizzera. Qui, la tradizione viticola era una realtà solidamente affermata, tanto che negli anni ’30 la gran parte di superficie agreste era occupata dal vigneto. Un trend che, a partire dalla seconda metà del ‘900, ha cominciato a invertirsi ribaltando completamente le sorti di un territorio. Abbandonare le vigne significava infatti lasciare che il bosco riprendesse il sopravvento, inglobando le viti e restituendo loro la natura selvatica di rampicanti. Del resto, il lavoro in fabbrica era più semplice, più sicuro, più abitudinario, più regolare. Chi aveva voglia di stare dietro ai capricci di una pianta, viva e imprevedibile come era? Non era più comodo relazionarsi con un materiale inerme come l’acciaio, entro la ripetibilità sicura di una catena di montaggio? Probabilmente sì, e a ragion veduta, poiché all’epoca la tecnologia di cui oggi dispone il mondo agricolo ancora non esisteva, amplificando ogni goccia di sudore versata per lavorare anche un solo centimetro quadrato di terra.
Lo racconta bene Lorella Zoppis Antoniolo, Vice Presidente del Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte: “Un tempo qui c’era tutta vigna” dice, indicando il dissolversi sinuoso delle colline. “I nostri nonni vivevano di agricoltura, mentre la generazione seguente preferì la certezza di un lavoro più sicuro di quello contadino e scelse altri tipi di attività, portando ad un abbandono delle terre. È stato necessario che subentrassimo noi, la terza generazione, perché avvenisse un recupero della terra e della tradizione agricola. La perdita di terreno vitato è stata ingente, ma ora stiamo recuperando e il trend è in ascesa”. Il lavoro del Consorzio si pone come perno di tale crescita e come supporto non solo per i vignaioli ma per il territorio nella sua globalità. È un lavoro che necessita di coesione e obiettivi comuni, da condividere e trainare lungo il futuro attraverso una sinergia umana fra i produttori, tutti molto giovani e intraprendenti. La voglia di ripartire e di portare l’energia frizzante delle loro gioventù sognatrici fra le vigne è tantissima e ben percepibile.
Colori, sapori, sfumature: tutte le denominazioni dell’Alto Piemonte
Quello che oggi si vede, in Alto Piemonte, è una successione di colline boschive affascinanti, in cui si nascondono le tracce di una società agricola passata. Capita spesso, infatti, di camminare nel bosco e trovare, in mezzo ai castagni o alle specie tipicamente silvestri, una vite. Nebbiolo, forse, o magari Vespolina, chi lo sa. Tutto ciò rende ancora più misteriose queste colline, percorse dai cinghiali, sorvegliate dai rapaci e amate dal silenzio. Sono colline a vegetazione fitta, attraversate da impervie stradine sterrate che conducono da una vigna all’altra, passando per la magia di un muro boschivo che sembra essere lì a proteggerle, a nasconderle, a celarle alla massa. I vigneti dell’Alto Piemonte sono infatti dislocati in punti diversi, spesso realmente nascosti e per nulla di passaggio.
Questi grappoli reconditi restituiscono nel calice un nettare tra i più fini che ci siano nel panorama viticolo italiano. Il Nebbiolo – localmente chiamato Spanna o, nelle Valli Ossolane all’estremo nord regione, Prünent – è il vitigno principe, scortato sapientemente da varietà come l’Uva Rara o la speziatissima Vespolina. Questa armonica mescolanza di caratteri varietali accade per le differenti microzone che compongono l’Alto Piemonte, da nord a sud, ognuna con la propria corrispondente denominazione.
A partire dall’area più estrema, incastonata nell’abbraccio Svizzero, troviamo la zona delle Valli Ossolane, caratterizzata da vini di grandissima freschezza e snellezza del sorso, figli del clima montano. Più sotto c’è Boca, una delle denominazioni maggiormente note. Il terreno porfirico, che si tramanda di zona in zona, inizia a raccontare la storia del Supervulcano della Valsesia, che implose 280 milioni di anni fa e che ancora oggi definisce il terreno dell’Alto Piemonte attraverso una matrice vulcanica visibile attraverso le rocce rosse e i porfidi. Qui la terra è polverosa, e vira sui toni dell’arancione quasi rosato. I vini solo eleganti e intensi insieme, con un’incredibile predisposizione all’affinamento.
Di poco più sotto, sulla sponda occidentale del fiume Sesia, c’è Bramaterra. Qui accade la sintesi perfetta fra carattere e charme, personalità e discrezione nei modi. L’area più estesa dell’Alto Piemonte genera vini dal profilo tannico forse più rude, ma proprio per questo più veementi, più intriganti, più dinamici nel sorso. Procedendo verso ovest si incontra Lessona, dove il terreno più sabbioso e marino che porfirico regala vini che giocano sull’eleganza del frutto.
La sublimazione della finezza, tuttavia, la si incontra a Gattinara, poco sotto Bramaterra. Gattinara è l’eleganza, è lo charme. È il Nebbiolo che procede in punta di piedi e tende il filo sottile del tannino gentile e della freschezza. Ghemme, invece, è più scuro, più intenso, più denso e più possente del Gattinara. Mario Soldati – noto scrittore che si occupò diffusamente di aree viticole – disse “Ghemme è forse meno fine di Gattinara, ma più genuino”.
Sizzano e Fara sono le due denominazioni più a sud dell’Alto Piemonte e presentano terreni del tutto simili, capaci di dare vini di grande piacevolezza di beva, improntati sulla freschezza e sul frutto fresco. Vi sono due aree più grandi, inoltre, che comprendono porzioni di territorio afferenti anche alle sopracitate denominazioni più piccole. Si tratta delle due denominazioni Colline Novaresi e Coste della Sesia, rispettivamente site sul versante orientale e occidentale del Sesia.
Il destino dell’eleganza: gli abbinamenti che non ci si aspetta
Nonostante le innumerevoli sfumature viticole che l’intera area dell’Alto Piemonte sa regalare lungo la sua interezza, ciò che accomuna tutte le sue zone e denominazioni è l’estrema finezza, l’eleganza, la gentilezza di quel sorso che è sì tannico e fresco, delicatamente rude a volte, ma levigato, setoso, di grande piacevolezza e di inequivocabile charme. Un perfetto compagno, quindi, per le cene estive, siano esse in montagna o al mare o in collina. O anche, perché no, nella modaiola cornice cittadina. Servito con un paio di gradi in meno di quanto siamo solitamente abituati a considerare per un vino rosso di buona struttura – quindi servito intorno ai 10/12 gradi invece che ai 14/16 – stupirà voi e i vostri ospiti per la versatilità di abbinamento, per la finezza di sorso e, soprattutto, per quella storia affascinante che lo rende tutt’oggi un vino unico.
luglio 2021
Sofia Landoni