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Il fritto misto alla romana cavalca una delle tre tradizioni della cucina romanesca, la cucina chiamata testaccina, quella cioè che valorizza tutti i tagli del quinto quarto, cioè le interiora dell'animale. Gli scarti erano un tempo la moneta con cui erano pagati gli operai del mattatoio, che un tempo era al quartiere Testaccio, da cui il nome. I lavoratori li portavano a loro volta dalle mogli che ne facevano piatti sopraffini o li cedevano a qualche ristorante in cambio di un pasto caldo.
La poesia culinaria del quinto quarto
Le ricette sono tantissime: dalla coratella di abbacchio (preparata con carciofi, cipolle o peperoni, secondo stagione) alle animelle, dalla coda alla vaccinara (versione povera dell'ossobuco) alla trippa alla romana, dall'insalata di nervetti alla pajata (intestino del vitello da latte) cucinata arrosto oppure al pomodoro per ottenerne un ricco ma delicato sugo per la pasta.
1 Portate a ebollizione abbondante acqua con 1 cucchiaio di aceto e immergetevi le animelle. Dopo 4 minuti, unite la cervella e proseguite la cottura per 5-6 minuti. Scolate, lasciate raffreddare e tagliate il tutto a pezzetti.
2 Private i carciofi delle foglie esterne più dure, punte e fieno interno. Tagliateli a fettine e spruzzatele con poco succo di limone.
3  Passate cervella, animelle e carciofi prima nella farina e poi nelle uova sbattute con sale e pepe. Friggete il tutto, pochi pezzi per volta, in abbondante olio bollente fino a doratura: se possibile scolate la frittura in una rete di metallo lasciandola sgocciolare (resterà più croccante). Servite subito.