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Storia di una forma di Grana Padano DOP

piaceriStoria di una forma di Grana Padano DOP

Dal latte al formaggio, ecco i passaggi che portano alla produzione di un'eccellenza made in Italy. Siamo andati a scoprirli nel Mantovano, tra le caldaie e i locali di stagionatura in uno dei caseifici associati al Consorzio

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C’era una volta, nel centro di una pianura… Potrebbe iniziare così il racconto del Grana Padano DOP, un formaggio dalla lunga storia, che ebbe inizio attorno al 1135 grazie ai cistercensi dell’abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano, divenuto ormai quotidiano e insostituibile. In apparenza è semplicissimo, ma così non è ovviamente: la sua realizzazione anzi, oggi come ieri, è frutto di ingegno, capacità ed esperienza. La sua origine si deve molto probabilmente ad un eccesso nella produzione del latte, che portò i monaci, a seguito di molte sperimentazioni, a produrre un formaggio (cui diedero il nome di caseus vetus- formaggio vecchio) e tenerlo in salamoia per insaporirlo e poi conservarlo.  Se nel Medioevo la trasformazione del latte in “formai de grana” appariva tuttavia un mistero, oggi che i suoi processi chimici sono stati studiati, quello che si ripete ogni mattina ha ancora il fascino di un prodigio che vogliamo farvi vedere da vicino.

Primo: un buon latte
Perché la magia possa compiersi serve prima di tutto un latte controllato e italiano al 100%, proveniente da animali che vivono in perfetta sintonia con il loro ambiente. Negli oltre 4.000 allevamenti dedicati, il benessere animale è sempre tenuto in grande considerazione. Comporre al meglio il loro menu non è cosa da poco e per farlo occorre seguire le regole del Disciplinare di Produzione. Una volta munto, il latte viene portato nei caseifici da trasportatori specializzati. A farci da guida tra le caldaie, i bagni di salamoia e i locali di stagionatura del Caseificio Europeo, a Bagnolo San Vito (Mantova), è Renato Zaghini, presidente del Consorzio Grana Padano Dop.

Il percorso del latte
“Al suo arrivo”, comincia, “il latte riposa a basse temperature per una notte”. In queste ore dal bianco liquido freddo affiora la panna che servirà per produrre burro, mentre il latte decremato prenderà la via delle caldaie. Qui il maestro casaro è già pronto con gli attrezzi del mestiere, tramandati di generazione in generazione. Con la sacralità di un alchimista ha realizzato il sieroinnesto, cioè una parte di siero del giorno prima che prepara la fermentazione. Lo aggiunge al latte intiepidito, attende, lo sfiora per percepirne la densità e il calore. “Al momento giusto torna alla caldaia dalle pareti in rame portando con sé un altro liquido”, continua Zaghini. “È la volta del caglio“. D’origine del tutto naturale, il casaro lo incorpora al latte. Poi questa sorta di mago del formaggio di nuovo attende, osserva il liquido bianco diventare gelatinoso, contempla primo fra tutti lo spettacolo meraviglioso della trasformazione della materia, cioè del latte che diventa cagliata. Esperienza e conoscenza lo guidano nell’operazione successiva: al momento giusto frange la cagliata con lo spino, lo strumento d’acciaio che un tempo era realizzato con legni ramificati e, in un certo senso, ancora li ricorda. La spacca con delicatezza per separare il liquido, il siero, e la parte solida, il neonato formaggio che si deposita sul fondo della caldaia.

Dalla caldaia in poi, una lunga avventura
“Sono necessarie due persone per estrarre la massa in fondo alla caldaia: la massa caseosa viene divisa in due forme gemelle, poi con gesti rapidi e decisi le avvolgono in un tessuto di lino e le sollevano ponendole su un piano di acciaio, dentro una fascera di plastica che le cinge”, spiega ancora il Presidente del Consorzio. Grazie a una matita alimentare uno dei due la sigla con il numero della caldaia da cui è uscita e l’altro applica una placca di caseina su una faccia piana perché non dimentichi mai la propria origine.

Qualche ora dopo cambia d’abito: la nuova fascera che l’avvolge stretta stretta riporta le inconfondibili losanghe del Grana Padano Dop, la data e il luogo di nascita, che corrisponde a una provincia e al numero del caseificio. Ancora un po’ di attesa e per la giovanissima forma è arrivato il tempo del primo bagno. Lo fa in salamoia, per trovare il giusto equilibrio tra sapore e salubrità e durerà tre settimane. Dopo una sosta per riscaldarsi, si concede un po’ di riposo su assi di legno. “Qui la prende in cura l’esperto della stagionatura: di tanto in tanto la rivolta, la spazzola, la picchietta al pari di un medico che ausculta il paziente per sapere se tutto va per il meglio, annotando ogni visita nel dettaglio”, conclude il nostro esperto. Servono almeno 9 mesi di queste attenzioni prima che un marchio a fuoco la dichiari arruolata tra gli oltre 5 milioni di forme sorelle prodotte ogni anno nelle province ammesse dal disciplinare, dislocate tra Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia e Trentino. Regioni fortunate.

Questione d’età
Dopo 
9 mesi di stagionatura quindi il Grana Padano è pronto per la tavola, anzi, per i tavolini! A quest’età è infatti il più sano degli snack da aperitivo e con il suo gusto dolce, ma già del formaggio compiuto, viene apprezzato da chiunque. Quando la forma raggiunge i 16 mesi di stagionatura, il metodo migliore per provarlo è grattugiato sulla pasta o come ripieno insieme a erbe e ricotta di saporiti tortelli. certo, un modo ancora più piacevole è addentare questa delizia dall’aroma ormai deciso, ma non per questo salato. La granulosità dovuta a cristalli di calcio lo rende un insostituibile compagno nella dieta dei meno giovani. Nel Grana Padano DOP Riserva, oltre i 20 mesi, la granulosità si apprezza ancora di più. il colore è divenuto bianco paglierino, il gusto più intenso ed è assai piacevole a fine pasto. 

Riccardo Lagorio
Novembre 2020

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