Si scrive “weisse”. Vuol dir “frumento”. Si legge “bianca”. Eccola qua, una birra che non ha bisogno di presentazioni, che non è figlia delle ultime tendenze, del lavoro certosino dei microbirrifici, delle sperimentazioni più audaci. La weisse in Italia la beviamo da sempre, fin da quando negli anni Ottanta spopolavano le birrerie “normali”, quelle in cui senza andar troppo per il sottile si ordinava una media bionda, o rossa, o, appunto, una weisse. Eppure, chi può davvero dire di sapere come nasce? Spesso la si ordina – è un best seller soprattutto tra il pubblico femminile, che ne ama dolcezza e acidità – ma conoscendola poco. E allora ecco un piccolo vademecum realizzato grazie all’aiuto dell’esperto di birre Lelio Bottero (nomen, omen) per un decennio tra gli uomini di punta del più famoso birrificio artigianale italiano (Baladin) e ora padre di Paola che, destino di famiglia, s’è messa a produrre e servire birra (www.giratempopub.it).
“La birra weisse è ancora, ad oggi, molto popolare tanto che fa parte degli stili più conosciuti e richiesti dai consumatori. – dice Bottero – E’ una delle birre tedesche tradizionali, tra le poche prodotte ad alta fermentazione. Per il suo corpo leggero, il suo tenore alcolico che si assesta sui 5 gradi alcolici, le sue note gustative dolci, dai sentori di banana, e la sua equilibrata speziatura con chiodi di garofano è apprezzata da un ampio target di consumatori e, in particolare, dal pubblico femminile”. Weisse, come detto, significa “frumento” e infatti è una birra prodotta dalla fermentazione del grano misto a malto d’orzo, entrambi maltati. E’ originaria della Germania dove la si chiama Weizenbier o Weissbier: nel Paese di origine esistono poi diverse declinazioni, a seconda della regione (una delle più famose è quella di Berlino, poco alcolica e spesso servita con succo di lampone). “Per il suo carattere fresco e beverino – continua Bottero – è una delle preferite nel periodo estivo durante il quale è possibile abbinarla a piatti leggeri che richiedano una lieve acidità come, ad esempio, le insalate, le pietanze a base di pesce o i dessert alla frutta”.
Ma è perfetta anche in autunno e da sola, in una sera fredda, con il suo colore opaco (dovuto ai lieviti) e il suo tipico bicchiere che pare un valore bollato rovesciato. Così come lo sono le altre birre “bianche”, una su tutte la blanche di tradizione belga. “Spesso la weisse e la blanche vengono confuse – ancora Bottero – perché entrambe vengono chiamate “bianche”, ma è un errore: le “blanche” sono birre di derivazione belga cui viene aggiunto del frumento non maltato, spesso aromatizzate con scorza d’arancio e coriandolo. La differenza risiede nel fatto che queste ultime hanno un’acidità più spiccata e sono, a volte, meno torbide rispetto alle weisse tedesche, brassate, invece, con frumento maltato”.
La weisse e le blanche sono entrambi di grande popolarità – si diceva – e basta un supermercato di grandi dimensioni o, ancor meglio, una bella enoteca/birreria per trovarne di tante marche, da quelle più mass market a quelle artigianali. “Tra le mie bianche preferite – conclude infine Lelio – vi sono certo classiche come la belga Blanche de Namur e la Bianca al Farro del birrificio La Petrognola di Piazza al Serchio in provincia di Lucca. Un bell'esempio di interpretazione italiana. Per le weisse la bavarese Weihenstephan, sede della prestigiose università birraria. Di questa birra ne esiste anche una interessante versione analcolica, difficilmente reperibile in Italia”. Quest’ultima, dedicata a chi deve guidare.
Luca Iaccarino
novembre 2016
photo credit - Gio '71 Cheers via photopin