Succulenza, grassezza, untuosità e acidità: generalmente sono questi i parametri in base ai quali, a seconda del menù, si sceglie questo o quel vino. Carni bianche, selvaggine, crostacei, pastasciutte, dolci, piatti grassi o vegetali: ogni ricetta chiede un determinato tipo di vino e servire quello sbagliato può invalidare un’ottima cena. In un battito di ciglia. In realtà i veri wine lovers decidono prima il vino e poi il piatto da abbinare, ma la maggior parte della gente segue il percorso inverso, pur con un’attenzione particolare alla bottiglia che, ça va sans dire, contribuisce a fare un’ottima cena.
Qualche regola base
Prima regola: meglio servire vini con un residuo zuccherino a fianco ai piatti a base di spezie. Altra regola lapalissiana è che per il dolce ci vogliono i vini dolci. Torte, crostate, dolci al cucchiaio e a base di cioccolato hanno bisogno infatti di spumanti dolci, moscati, passiti e bianchi amabili. Attenzione che il vino non sia meno dolce del dessert. Terza regola, non meno importante delle due precedenti, riguarda il cibo dalla tendenza grassa o untuosa, che è bene accompagnare con acidità e tannino per detergere il palato portando equilibrio. C’è poi il grande dogma, ormai sdoganato, del pesce con il bianco. Nessuno vieta in realtà di abbinare vini rossi al pesce, purché si tratti di rossi delicati come Grignolino o Bardolino, utili anche per grigliate o zuppe. Ultima regola è che all’acidità è bene rispondere con l’acidità.
Una gerarchia ben chiara
L’ordine è altrettanto importante. Come per le pietanze anche per i vini la regola principale della “buona tavola” è l’intensità in crescendo. Ovviamente vengono prima i bianchi meno strutturati, poi quelli più potenti o i rossi giovani. Per i rossi la successione è in base all’età con piccole eccezioni collegate alla struttura dei vini. Qualche volta, infatti, la profondità e la lunghezza di un grande vino (un Barolo per esempio) richiede di metterlo in coda a vini anche più vecchi, ma meno intensi.
Non troppo fresco, né troppo caldo
Le temperature considerate ideali vanno dagli 8°C degli spumanti, ai 10 dei bianchi e dei rosati, per arrivare ai 18°C dei rossi giovani e ai 20°C dei rossi invecchiati. A questa regola generale sfuggono i vini da dessert, che arrivano a fine pasto e, in certi casi, sono serviti freddi. Tuttavia bisognerebbe evitare di portare in tavola vini alla temperatura del frigo o conservarlo per lungo tempo nel frigorifero. Molto meglio usare la glacette e raffreddare il vino all’ultimo momento. Quando bisogna scaldare i rossi all’ultimo momento invece sono quasi criminali le accelerazioni forzate, come la fiamma del camino o il forno a microonde.
Sfumare, marinare, cuocere
Ovviamente le bottiglie vanno aperte e assaggiate prima di mettersi a tavola in modo da evitare spiacevoli sorprese. Per cucinare infine è bene usare vini chiaramente meno pregiati, ma comunque adatti e mai scadenti. Perché un brasato che si rispetti chiede comunque un grande vino anche per la cucina. Che siano utilizzati per marinare i cibi o per sfumare durante la cottura, i vini sono infatti un ottimo alleato in cucina e non si può certo usare il primo che capita. Meglio in generale i vini giovani, non solo per una questione di costi, e mentre i bianchi sono indicati per le zuppe e per aromatizzare il pesce, le carni bianche, le verdure e diversi dolci, i vini rossi danno il meglio di sé per cucinare la carne rossa, le salse, il brasato e lo stracotto.
Emanuela Di Pasqua,
dicembre 2017