Alla fine del XVIII secolo il vermouth era la bevanda favorita dell’aristocrazia europea, oggi è un ingrediente trend dei cocktail globali. Ma la sua qualità originaria è italiana, o meglio piemontese, o meglio torinese. Per questo un paio di mesi fa il Ministero delle politiche agricole ha ufficialmente riconosciuto l’Indicazione geografica protetta (Igp) e all’ombra della Mole è nato l’Istituto del Vermouth di Torino.
Ma cosa è il vermouth – o “vermut” nella sua grafia non francesizzata? “Il Vermouth di Torino è il vino aromatizzato ottenuto in Piemonte a partire da uno o più prodotti vitivinicoli italiani, aggiunto di alcol, aromatizzato prioritariamente da Artemisia unitamente ad altre erbe, spezie”. È la definizione contenuta nella nuova legge.
A brevissima distanza dalla legge è nato appunto l'Istituto del Vermouth di Torino, per promuovere e valorizzare l’origine e l’identità di questa bevanda nostrana, prodotta e consumata a livello globale: da qua al 2021, con un tasso di crescita del 3% annuo, si prospetta un giro d’affari di 18.79 miliardi di dollari. Le aziende e i marchi nostrani vogliono difendere il vermouth originale dalle imitazioni.
A farlo balzare in cima alla lista dei drink glam 2017 sono varie classifiche, internazionali e maschili. Negli States, da San Francisco a New York non ne possono oramai fare a meno, ma anche dall’altra parte del pianeta il vermouth ha successo, e baristi famosi come Simone Caporale organizzano stage a Singapore piuttosto che a Tokyo. Questo perché le moltissime varietà di vermouth si accompagnano alla perfezione con i vari superalcolici come il gin e la vodka. O, ancora meglio, il rum. E quindi, al tradizionale consumo in solitario, si contrappone quello del vermouth usato come ingrediente da cocktail.
Di vermouth ci sono davvero tantissime varietà e cambia tutto: colore – dal bianco al rosso passando per le varie tonalità di giallo (unico colorante permesso è il caramello); gradazione alcolica - che può andare dal 16 al 22%; dolcificante utilizzato – zucchero, ma anche mosto o miele, per esempio – che a seconda del quantitativo rende la bevanda Dolce o Secca/Dry. E poi il vino usato come base, naturalmente: non ci sono limitazioni, ma se viene indicato un doc o un igp in etichetta vuol dire che ce n’è almeno il 20%, e per essere definito “Superiore” il vermut deve contenere almeno il 50% di vini piemontesi.
Unica cosa in comune a tutti i vermut è l’artemisia, che deve essere delle specie Artemisia absinthium e/o Artemisia pontica: si tratta rispettivamente dell’assenzio (in tedesco “wermut”, da cui deriverà il nome vermoth/vermut) e dell’assenzio gentile, che in questo caso devono essere coltivate o raccolte in Piemonte.
Proprio a Torino un tour operator ha ideato “Esperienza Vermouth” laboratorio per diventare creatori di vermouth attraverso un percorso interattivo alla scoperta di questa eccellenza piemontese, evento multisensoriale che ha luogo ogni giovedì sera, dura un’ora e mezza e può trasformarsi anche in un’originale idea-regalo. Un altro modo per scoprire questa bevanda allo stesso tempo così trendy e così retrò.
Carola Traverso Saibante
maggio 2017