Tra le sei e le sette di sera, nella Torino ottocentesca scattava l’ora del vermouth. Il vino aromatizzato, accompagnato da piattini di rinforzo, era protagonista di un rito collettivo che affollava i caffè eleganti come le botteghe dei liquoristi; anche nelle case l’abitudine a un “vermuttino” prima di cena era molto diffusa. Ed è proprio il capoluogo piemontese, che vantava una secolare tradizione liquoristica, ad aver dato i natali alla bevanda diventata poi celebre in tutto il mondo.
Chi inventò il vermouth
Si attribuisce ad Antonio Benedetto Carpano, pasticciere a Torino con studi di erboristeria, la messa a punto a fine Settecento della ricetta come la conosciamo oggi: vino bianco aromatizzato con spezie ed erbe, in particolare assenzio (o Artemisia, Wermut in tedesco da cui il nome), fortificato con alcol e dolcificato con zucchero. Rispetto ai vini aromatizzati del passato, il nuovo vermouth era più dolce e alcolico e il suo gusto morbido ebbe subito successo, con estimatori da Casa Savoia fino al popolo. Una parabola ascendente che continuò nell’Ottocento, con la nascita delle grandi case produttrici (Cora, Cinzano, Gancia, Martini&Rossi) e le esportazioni in Europa e Oltreoceano; e nel Novecento, con il successo nel mondo della miscelazione, dove diventò protagonista di cocktail iconici come Negroni e Martini Dry.
Il vermouth oggi
Dopo una fase di declino, negli ultimi anni il vermouth è tornato in auge: accanto ai marchi storici si sono affermati piccoli produttori, con proposte variegate legate ai vini e alle botaniche dei loro territori. La regione d’elezione resta il Piemonte, dove ha ottenuto l’IG (Indicazione Geografica) come Vermouth di Torino ed è tutelato dal Consorzio, nato nel 2019, a cui aderiscono 23 produttori. Il disciplinare prevede che, al vino di base italiano, si aggiungano estratti di erbe aromatiche e di spezie, fiori, semi, radici e cortecce, ottenuti per infusione in una soluzione idroalcolica: la botanica principale è l’Artemisia, di due specie particolari raccolte in Piemonte. Si unisce quindi lo zucchero (o mosto d’uva, miele, zucchero caramellato). Il vermouth di Torino può essere bianco, ambrato (con aggiunta di caramello), rosato e rosso. In base alla quantità di zucchero viene definito Extra Secco (Extra Dry), Secco (Dry) e Dolce; la gradazione va da 16° a 22°. L’odore deve essere intenso e complesso, aromatico, a volte floreale o speziato; il sapore morbido in equilibrio tra amaro e dolce.
Il vermouth nei cocktail
Il vermouth è ideale come aperitivo, sia in purezza sia nei cocktail, dove il suo impiego è diffusissimo. “Ha una grande flessibilità di utilizzo legata alle sue componenti: acqua, vino, zucchero e in particolare erbe e droghe che, variando da un produttore all’altro, gli regalano molte sfaccettature diverse”, dice il bartender Fabio Perugini. “Gli accostamenti più classici sono il bitter e il gin, come nei celebri Negroni (vermouth rosso, bitter, London dry gin) e Martini Dry (vermouth dry e London dry gin). Un’idea insolita? Limone e zucchero. In purezza è ottimo con ghiaccio e scorza di limone ma anche con toniche o bibite tipo chinotto”.
Dicembre 2021
di Marina Cella, foto Eunice Brovida