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Vacca vecchia fa buon...

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No, non brodo, ma fuoco! Stiamo per parlarvi di una carne strepitosa, ricercata dagli intenditori e amata dai gourmand per le sue caratteristiche uniche, da esaltare sulla brace rovente e scegliere, anche, con un occhio alla sostenibilità

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Gli appassionati di carni rosse hanno un nuovo oggetto del desiderio. È la vacca vecchia, tipologia che identifica un metodo di allevamento che sposta l’età di macellazione delle bestie adulte in avanti rispetto al termine comune di 12-24 mesi. L’interesse per questo prodotto nasce da un differente modo di approcciarsi al consumo di carne. Non più la fettina gettata distrattamente nel carrello della spesa o il filetto ordinato senza emozione al ristorante. La clientela più attenta oggi chiede a produttori, macellai e cuochi quella qualità che si traduce in tenerezza, sapore, genuinità e, allargando l’orizzonte, sostenibilità ambientale e benessere animale. A riunire tutte queste prerogative è proprio la vacca vecchia. Il termine è generico e si riferisce a capi di diverse razze, macellati tra i cinque e i quindici anni di vita. Trascorsi pascolando liberamente, mettendo al mondo, allattando e svezzando i vitelli secondo i cicli naturali e nutrendosi con erba fresca e foraggi prodotti dagli stessi allevatori, che ne arricchiscono la dieta con mais e ortaggi. Questa esistenza “libera” rende le carni ricche di un grasso buono che si distingue già dal colore giallo, per la presenza di betacarotene, e per la quota di Omega 3. La polpa è di un invitante rosso intenso, aromatica e profumata, sapida e dolce insieme.

Un’eccellenza assoluta
Ci sono poi casi eccellenti in cui parlare “semplicemente” di vacca vecchia è riduttivo. Così la pensa Massimo Minutelli, patron del ristorante La griglia di Varrone, tempio milanese della carne. Qui, Minutelli ha scelto di servire un’autentica prelibatezza, ottenuta da animali di oltre 5 anni appartenenti a una razza ben precisa: “Nel mio ristorante entra in carta solo Rubia Gallega, razza autoctona spagnola, geneticamente nata dalla cultura Basca, poi assorbita da tutta la Spagna, dove si tende a far invecchiare gli animali e a macellarli dopo una lunga vita di alimentazione sana e naturale”. Campione di questa specialità è Luismi, selezionatore e distributore galiziano, fornitore di Varrone (che ne ha l’esclusiva per Milano) come di molti altri ristoranti e rivenditori top. Per esaltare la qualità, c’è un solo strumento, il fuoco, come conferma Minutelli: “Gli animali sono più grassi, predisposti per la griglia, e hanno un sapore che non ho riscontrato in nessun’altra razza. Il nostro vanto è quello di non dover neanche aggiungere il sale grazie alla loro salinità unica... Per me è la miglior carne al mondo, e una carne che non stanca mai”.

Il taglio prediletto da Varrone è la lombata intera (nella foto in alto), rigorosamente cucinata al sangue e affettata spessa, da gustare al naturale senza alcun condimento aggiunto. In Spagna, l’offerta di Luismi affianca a questa prelibatezza entrecôte, T-bone steak, controfiletto disossato, filetto. Ma anche parti meno nobili come la coda e la guancia, adatte non alla violenza del fuoco ma alla dolcezza delle lunghe cotture, che ne svelano tutta la scioglievole tenerezza. E usare tutto l’animale è già di per sé un comportamento sostenibile.

Parola d’ordine, sostenibilità
Se, infatti, fin qui abbiamo parlato esclusivamente di caratteristiche organolettiche, è il caso anche di fare una riflessione proprio sul tema della sostenibilità. Come abbiamo visto, la qualità stessa di un prodotto come la vacca vecchia deriva da un allevamento rispettoso delle esigenze degli animali, senza forzature di alcun tipo. L’esatto opposto, insomma, delle produzioni intensive che ammassano capi in spazi ridotti e li crescono con pratiche discusse, dal distacco precoce dei vitelli dalle madri alla nutrizione mirata all’ingrasso. Non è poi un segreto che questo tipo di allevamenti abbia ripercussioni sull’ambiente che vanno dal consumo di suolo (per coltivare soia e altri foraggi) a quello di acqua, fino alle emissioni di gas serra. Certo, l’alternativa ha un costo che si riflette sul prezzo di queste specialità, mai a buon mercato. Ma, parafrasando lo scrittore Michael Pollan, autore del celebre saggio “Il dilemma dell’onnivoro”, il cibo economico è un’illusione, il vero costo lo paghiamo comunque da qualche parte: se non lo saldiamo noi alla cassa, giriamo il conto all’ambiente. E, in definitiva, alla nostra salute. Questo vale anche (o soprattutto?) quando si parla di carne. È giunto il momento, allora, di dirci: mangiamone meno, mangiamola meglio e... mangiamola vecchia!

Francesca Romana Mezzadri
aggiornato aprile 2023

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