Se avete letto Il mulino del Po di Riccardo Bacchelli, oppure avete visto gli sceneggiati televisivi del 1963 o del 1971, siete già nell'atmosfera giusta. Altrimenti cercate di immedesimarvi nello scorrere fluente del fiume Po, perché in questa storia i protagonisti sono i mulini, il grande fiume, una ricetta dimenticata, ovvero la pinza alla munara, e un piccolo paese di nome Stienta, nato ferrarese ma, con la dominazione austriaca, diventato rovigotto. Un paese di confine, tra Emilia-Romagna e Veneto dove sono proprio gli argini del Po a decidere a quale regione appartenere ma, come ben potete leggere a pagina 46, i confini amministrativi nulla hanno a che vedere con il cibo. Stienta si attribuisce la nascita della pinza alla munara, che si ottiene impastando la farina con l'acqua, il sale e lo strutto, poi sovrapponendo diversi strati dell'impasto ottenuto e intervallandoli con olio. Di sicuro la ricetta era già conosciuta e preparata a bordo dei mulini natanti nell'Ottocento: lo stesso Riccardo Bacchelli nel suo romanzo, ambientato allora, racconta che nei festeggiamenti per il fidanzamento del mugnaio Lazzaro Scacerni con Dosolina venne servita la "pinza alla molinara". Dunque un prodotto semplice la cui storia si lega in maniera indissolubile con quella dei mugnai, munari in dialetto veneto: un mestiere duro che lungo il Po non si esercitava in terraferma ma in acqua sui mulini natanti. Macchine complesse in grado di sorreggere l'impianto di macinazione e la casa del munaro: sfruttavano la forza motrice dell'acqua ed erano posizionate dove la corrente era più profonda e veloce, trattenute agli argini con grosse e lunghe funi o catene. Il mugnaio abitava e lavorava su queste macchine galleggianti sei giorni su sette, scendeva a terra solo per portare la farina e prendere nuovi rifornimenti, ma talvolta il fiume in piena non consentiva la discesa per giorni. È probabile che in una di queste difficili giornate sia nata la pinza alla munara, dall'ingegno di un mugnaio che, dovendosi sfamare, mescolò quel che aveva: l'acqua del fiume con la farina e un po' dell'olio usato per tenere acceso il lume davanti all'immagine di Sant'Antonio Abate, presente in ogni mulino. A Stienta sostengono che il mugnaio si chiamava Ulisse Bacchiega, detto "Capon" e che al posto dell'olio usò lo strutto adoperato per ingrassare gli ingranaggi. Comunque sia andata, al piccolo paese va dato il merito di aver riscoperto la ricetta, prima con il Palio gastronomico e, da nove anni a questa parte, con una riuscitissima sagra dedicata al piatto. La prossima si svolgerà dal 5 al 6 luglio e può essere l'occasione per visitare una fetta di Polesine, arrivando a Stienta per la strada panoramica sulla sommità arginale del fiume Po. I mulini natanti che, secondo un censimento del 1902 erano ancora 266 lungo tutto il grande fiume, piano piano diminuirono per l'incedere della navigazione a vapore. I pochi rimasti funzionarono sino al 1940, l'ultimo fu distrutto da un bombardamento nel 1945: con la loro scomparsa anche la pinza alla munara fu dimenticata. In via Maffei 57, sempre a Stienta, operò per lungo tempo il primo mulino della provincia di Rovigo alimentato con energia elettrica. Il suo proprietario si chiamava Vittorio Sgarbi, nonno del celebre critico d'arte.
Laura Maragliano,
aprile 2024
Direttore di Sale&Pepe dal 20o8 (dove lavora dal 2005, dopo aver seguito il tema food, anche come direttore, in diverse testate) è giornalista e grande appassionata di cibo. Poco la entusiasma quanto sperimentare una delle (rare) ricette che ancora non conosce, studiarne la storia e scoprire usi e costumi delle persone che la preparano (o preparavano). Ligure – o meglio genovese – di nascita e cultura, per lavoro e per diletto gravita da oltre da trent’anni su Milano, ma è Lodi (a una manciata di chilometri da dove ha messo le sue nuove radici) la cittadina lombarda che l’ha catturata.
Direttore di Sale&Pepe dal 20o8 (dove lavora dal 2005, dopo aver seguito il tema food, anche come direttore, in diverse testate) è giornalista e grande appassionata di cibo. Poco la entusiasma quanto sperimentare una delle (rare) ricette che ancora non conosce, studiarne la storia e scoprire usi e costumi delle persone che la preparano (o preparavano). Ligure – o meglio genovese – di nascita e cultura, per lavoro e per diletto gravita da oltre da trent’anni su Milano, ma è Lodi (a una manciata di chilometri da dove ha messo le sue nuove radici) la cittadina lombarda che l’ha catturata.