Il mondo della mixology se ne è accorto già da un po’: per creare cocktail contemporanei, l’ultimo trend è il mezcal, distillato d’agave messicano che sta scalzando, in popolarità, la più conosciuta e diffusa tequila. Mentre sono sempre più gli appassionati che lo apprezzano in purezza. Eppure, fino a una decina di anni fa questo superalcolico era pressoché sconosciuto o ritenuto una curiosità per via di quelle bottiglie in cui galleggiava il gusano, la larva di una falena che vive abitualmente nelle piante di agave e che una leggenda popolare vorrebbe a qualche titolo rinvigorente. Oggi il “vermetto” è quasi del tutto sparito, sopravvive in poche bottiglie di pregio e per il resto è relegato a souvenir per turisti. Mentre le produzioni di mezcal si fanno sempre più ricercate e apprezzate dagli intenditori del bere bene.
Che cos’è
Come la tequila (nella foto accanto, in versione margarita), anche il mezcal è un liquore ad alta gradazione alcolica (40° e oltre) prodotto dall’agave. A differenziare i due liquori, la materia prima: la tequila si ottiene solo da una delle oltre 300 varietà di agave esistenti, mentre per il mezcal, prodotto nello stato di Oaxaca, se ne possono usare diverse anche miscelate fra loro. Inoltre, il mezcal può essere esclusivamente di produzione artigianale, come sancito dalle leggi messicane. C’è poi un’importante distinzione organolettica. Perché quel che lo caratterizza in modo deciso è l’intenso aroma di fumo, nettamente percepibile al naso e al palato, frutto di una lavorazione tradizionale davvero particolare.
Quando è nato
Ci siamo fatti raccontare la storia di questo liquore da Alessio Melia (nella foto), oste a Gorgonzola, alle porte di Milano, e importatore della prima ora (il “suo” mezcal è il Malacara) dopo essersi innamorato di questo superalcolico durante un soggiorno in Messico, nei primi anni Duemila. La prima scoperta è che, ad andare indietro nel tempo “ci sono testimonianze di fermentati d’agave sin dalle civiltà precolombiane. Il salto da fermentato a distillato è invece più recente, a partire dal 1500, con l’introduzione nelle Americhe degli alambicchi”. Da allora, a ben guardare, poco è cambiato essendo ancora oggi una lavorazione interamente manuale, legata alla terra e alle pratiche contadine.
Dalla pianta alla bottiglia
La produzione inizia con il raccolto delle piante, estratte dal terreno e cotte in forni sotterranei. Il combustibile è legno, adagiato su pietre laviche roventi. In forno trova posto anche il bagaso, che è lo scarto della lavorazione del mezcal. Dopo la cottura nei forni, che impregna le foglie di aromi affumicati, “le agavi sono passate in una sorta di frantoio in pietra trainato da cavalli (sì, ancora oggi!) guidati dal maestro mezcalero, che sovrintende tutte le operazioni e si occupa anche di regolare l’andatura degli animali”, spiega Melia. Dopo questo procedimento, si ottiene una parte solida (che è il bagaso cui accennavamo) e una liquida, che si mette a fermentare finché il maestro non ritiene sia giunto il momento giusto per la doppia distillazione in alambicchi di rame. Da questo passaggio esce un distillato a 70°. Come in tutte le distillazioni, si conserva il cuore scartando la testa (quel che esce all’inizio del processo) e la coda (quel che si ricava alla fine), tranne una piccola parte che, nel Malacara, viene aggiunta per dare corpo e sfumature sensoriali. Infine, il distillato è “tagliato” con acqua di sorgente per arrivare intorno ai 40° e, nel caso di Malacara, messo subito in bottiglie numerate senza invecchiamento. Esistono naturalmente anche tipologie che, prima dell’imbottigliamento, sono lasciate maturare, generalmente in fusti di rovere: il Reposado per un periodo compreso fra 2 e 11 mesi, l’Añejo per almeno 12 mesi (ma anche per diversi anni).
Dalla bottiglia al calice (passando per la botte)
La nostra chiacchierata con Melia si svolge curiosamente davanti a un calice che... ha tutta l’aria d’essere di vino rosso. Da cui salgono inconfondibili sentori smokey. “È il Tinto de Mezcal”, spiega Melia. “Ovvero: quello che mi sono inventato durante il lockdown”. Mentre gli italiani erano occupati a impastare la pizza, ha infatti messo a punto una bevanda che non è un vino (non merceologicamente, almeno) né un superalcolico (avendo solo 14°). Lo spunto era unire le due tradizioni, italiana e messicana. Dopo prove deludenti di semplice miscelazione (“impossibile perché hanno contenuto di alcol e densità troppo diverse”, spiega), ha deciso di lavorare sul contenitore. Oggi, il procedimento prevede l’utilizzo di botti che vengono riempite con una parte di mezcal e fatte ruotare, finché tutto il legno è impregnato dal liquore e, soprattutto, dai suoi effluvi. A questo punto le botti si svuotano e vi si mette a invecchiare un vino prodotto nel Basso Piave: 85% Merlot, varietà Doc autoctone e l’aggiunta di una piccola quantità di un uvaggio “tintoreo”, così chiamato perché capace di sviluppare accesi riflessi rubini, a contrastare il colore spento tipico della maturazione in legno. L’alchimia è fatta: nasce così questo insolito “vino” (virgolette d’obbligo, anche per la legge italiana) aromatizzato, da bere fresco come aperitivo, a tutto pasto in special modo con le carni, o dopocena, come bevanda da meditazione.
Un trend di moda
L’insolita produzione di Melia mira a sedurre un pubblico sempre più attratto dal “bere torbato”. Se una volta questa categoria di distillati era incarnata esclusivamente dai grandi whisky scozzesi, oggi il mezcal si è ritagliato una fetta importante di estimatori e spopola, fra l’altro, tra i vip statunitensi. Il più illustre è forse l’attore americano George Clooney che insieme all’imprenditore Michael Meldman e all’amico Randy Gerber, marito della top model Cindy Crowford, ha fondato in Messico la distilleria Casamigos che produce tre tipi di tequila e un pregiato Mezcal Joven (non invecchiato). Hanno seguito il loro l’esempio Aaron Paul e Bryan Cranston, star del serial Breaking Bad, con il Mezcal Dos Hombres: “Qualcosa di così dannatamente buono che anche le persone che non pensano gli piaccia il mezcal lo adoreranno”, come hanno dichiarato durante il lancio. Mentre nei brunch più modaioli da New York City a Los Angeles si beve Mezcal Bloody Maria, versione latina del bloody mary dall’aroma affumicato esaltato, nelle ricette più elaborate, da jalapeño arrostiti, bacon, rafano o zenzero. Dannatamente buono!
Francesca Romana Mezzadri
marzo 2022
Foto di copertina Freepik
Mezcal photo created by freepik - www.freepik.com
Foto di Alessio Melia, Malacara e Tinto de Mezcal @ad.anzanidesign