Il primo piatto in brodo del giorno di Natale come lo fa la nonna non lo fa nessuno. Su questo non c'è dubbio in Emilia-Romagna. E noi di quel piatto, che non vediamo l'ora di gustare, siamo anche capaci di discutere per ore esaminando con minuzia ogni passaggio della ricetta. Per questo abbiamo deciso di condividerlo con voi compiendo un viaggio lungo la via Emilia, che da Piacenza arriva a Rimini, tra campi coltivati, pascoli, vigneti e stalle per finire al mare, sulle onde della memoria e delle nostre tradizioni. Abbiamo desiderato fermarci di città in città a trascrivere le ricette, ma soprattutto a raccogliere le storie più belle: perché sono le storie a rendere questo cibo così evocativo e speciale, così unico e diverso dagli altri eppure, nello stesso tempo, sempre uguale. Sono racconti di tavolate lunghissime, di lettere trovate sotto ai piatti, di tortellini rubati dal più piccolo della famiglia e mangiati ancora crudi. Storie di rezdore (o resdore o arzdaure, parole dialettali dal latino regere, dirigere, con cui, nelle campagne emiliane, si chiamava la moglie del capofamiglia) che si riunivano in cucina con tutta la famiglia per guidare la creazione di quell'alchemico ripieno che verrà avvolto nella sfoglia. Storie di persone che, in qualche modo, hanno fissato questa magia per non lasciare che andasse perduta. Come la signora di Parma "andata in sposa a Milano" che a fine Ottocento invia a Pellegrino Artusi "la ricetta di una minestra che a Parma, mia amata città natale, è di rito nelle solennità famigliari; e non c'è casa, io credo, ove nei giorni di Natale e Pasqua non si facciano i tradizionali Anolini".
Il viaggio ci porta quindi a Reggio Emilia, dove il cappelletto locale, grazie a un lungo lavoro storico e antropologico realizzato dall'associazione a esso dedicata, nel 2022 ha ottenuto la De.Co., denominazione comunale voluta da Luigi Veronelli per tutelare e valorizzare i piatti e i prodotti eccellenti della tradizione del territorio.
A Castelfranco Emilia, patria del Tortellino Tradizionale, l'associazione "La San Nicola" difende la paternità di questo scrigno di sapori rappresentandola anche in una statua nella piazza principale del paese: l'opera narra dell'oste che spiò dal buco della serratura la bella ospite della sua locanda e che, innamoratosi del suo ombelico, decise di creare una pasta a sua immagine.
Anche a Modena il tortellino è sacro: non è un caso che qui sia nato il Tortellante, l'innovativo laboratorio di pasta fresca realizzata a mano da ragazzi nello spettro autistico che tra produzione e bottega giorno dopo giorno trovano nel lavoro autonomia, autostima e crescita personale.
Una piccola deviazione a Ferrara ci fa assaggiare il cappelletto con il tradizionale ripieno chiamato batù, ed eccoci giungere a Bologna, sotto quel portico in Piazza della Mercanzia dove, nel 1974, dopo un concorso indetto sul Resto del Carlino, la Dotta Confraternita e l'Accademia Italiana della Cucina depositarono l'autentica ricetta del ripieno del Classico Tortellino di Bologna.
Basta tuttavia oltrepassare il capoluogo, perché la lenta discesa che porta verso il mare sia un susseguirsi di cappelletti panciuti. La forma è un omaggio al "galosa", copricapo dei contadini romagnoli fino all'inizio del Novecento. A Forlì e Cesena, così come a Ravenna, protagonista del "compenso", cioè del ripieno, è il raviggiolo, un formaggio fresco e molle tipico dell'Appennino tosco-romagnolo e presidio Slow Food. Qui si ritrova anche la ricetta storica riportata dall'Artusi (che nacque proprio in Romagna, a Forlimpopoli), in cui compariva il petto di cappone, talvolta ancora utilizzato.
Per finire, eccoci in riva al mare di Rimini, dove il ripieno esige addirittura una miscela di maiale, vitello e cappone, come da tradizione sammarinese e pesarese. Carni dunque, ma pure formaggi, uova, spezie: quanta eccellenza e quanto territorio finiscono negli abbracci di sfoglia. Li assaporiamo nella stanza adibita a festa, insieme al sorriso per la zia che non azzecca mai il nostro nome al primo colpo e all'affetto per la nonna seduta a capotavola che ci racconta com'era il Natale quand'era ragazza. Ci riconosciamo in questi sapori perché in quel piatto ritroviamo un'intera comunità, alla quale sentiamo di appartenere. E allora, che dite, mettiamo su il brodo?
Irene Fossa e Mattia Fiandaca,
dicembre 2023