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Storie di cucina: una buona ricetta ritrovata

News ed EventiStorie di cucina: una buona ricetta ritrovata

Scovata in fondo a un cassetto, quella la ricetta di un ghiotto piatto di cannelloni si fa di nuovo amare. E ha il sapore unico del ricordo

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La cucina di mia madre è sempre stata molto curata. Un repertorio di preparazioni non vasto ma di sicura riuscita, sospeso tra ricette familiari e la più genuina tradizione genovese. Nemmeno mia nonna paterna, ligure ma vissuta a Roma più di trent’anni, è riuscita a scalfire la sua idea di cucina tranne forse che per i supplì e il pollo alla diavola. Poi, per frequentazione, ha fatto capolino qualche piatto piemontese e di uno in particolare avevo perso completamente la memoria. Oggi, vista l‘età avanzata, mia mamma non cucina più (95 ben portati) ma, nello studio di mio padre, un armadio contiene a profusione documenti, libri, vecchie riviste, medicine, i miei primi articoli, dischi in vinile e ricette. La curiosità mi spinge spesso a metterci le mani e lei mi osserva ben appoggiata sul bastone affinché io non butti via niente. Così facendo ho ritrovato la ricetta dei cannelloni alla Barbaroux, dimenticata da entrambe. Come girano le ricette, come tornano prepotenti per dire preparami. Questa era di Albertina: nome più piemontese non poteva avere questa signora, minuta e discreta che viveva sola sulla montagna di Cesana Torinese, nella frazione di San Sicario. Arrivai lì con mia madre un’estate, nel passaggio tra elementari e medie; mio padre ci aveva preceduto ma non abitava con noi, doveva riorganizzare la colonia di una nota azienda siderurgica, posta sopra il borgo, meta di vacanze per i figli dei dipendenti. Prendemmo possesso nella casa che Albertina ci aveva affittato, lei sotto, noi sopra, e nacque una sorta di amicizia discreta. La frequentazione durò forse due o tre anni, e fu scandita dal calendario scolastico: Pasqua e un po’ di vacanze estive. Da Genova arrivavano vasetti di pesto e a Genova tornavano porri e patate dell’orto e uova fresche delle sue galline; in più scambi epistolari durante il resto dei mesi. Sino a che un anno decidemmo di passare Capodanno a San Sicario e fu la volta dei cannelloni alla Barbaroux. Albertina ci stava aspettando, prima di partire alla volta di Torino per trovare i figli, e con la sua bella “r” rutilante (il confine francese è a un tiro di schioppo) ci consegnò una teglia fumante dicendo: “li ho fatti per voi, sono i cannelloni alla Barbaroux”. La ricetta arrivò scritta con grafia chiara e precisa per lettera poco tempo dopo. Non sono mai più tornata a San Sicario. Negli anni ’70 200 metri sopra il vecchio borgo incominciarono a costruire quella che oggi è l’omonima stazione sciistica e più tardi la colonia diventò un albergo per le Olimpiadi del 2006. I cannelloni, un morbido amalgama di carni diverse avvolte in una delicatissima crêpe, per qualche anno divennero un cavallo di battaglia di mia madre; poi la “genovesità” riprese il sopravvento. Vi chiederete chi era Barbaroux: era il cognome di Giuseppe, avvocato generale dello Stato nella annessa provincia di Genova (guardate il caso come si prende beffa di me), Plenipotenziario del Regno Sardo presso la Santa Sede, nominato Conte e Ministro di Carlo Felice e poi diventato, con Carlo Alberto, potente guardasigilli e autore dei primi tre codici civili e moderni. Anche inventore dei cannelloni? A Genova o a Torino? Oppure qualche cuoco glieli ha dedicati? Chi lo sa, ma in fondo non mi importa: usciti dal cassetto dove erano stati dimenticati, sapranno far valere la loro bontà.


dicembre 2021
di Laura Maragliano, ritratto di Gian Marco Folcolini, foto del piatto di Francesca Moscheni, in cucina Aura Basso


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