Intendiamoci, gli scimpanzè non sono stati colti sul fatto a cucinare con tanto di mestoli e padelle. L’esperimento degli scienziati di Harvard e Yale è più sottile e dimostra che i primati sarebbero in grado di preparare cibi ovviamente in modo rudimentale, se soltanto avessero a disposizione un forno facile da utilizzare.
Un’operazione apparentemente semplice come cucinare un uovo sodo, in realtà implica una serie di capacità tutt’altro che banali (e con questo non stiamo cercando di fare dell'ironia o di giustificare mariti, mogli o figli particolarmente pelandroni). In primo luogo occorre avere la lungimiranza di sapere che un alimento si può trasformare e diventare più buono e poi capire quali sono precisamente le operazioni da compiere, perché questa trasformazione magica avvenga.
Sono proprio queste le conclusioni alle quali sono giunti Felix Warneken e Alexandra G. Rosati nel Tchimpounga Chimpanzee Rehabilitation Center, nella Republicca del Congo: per gli studiosi, si, gli scimpanzè sono dotati di sufficienti pazienza, lungimiranza e abilità.
La fame è uno degli stimoli vitali primari e, per motivi per lo più di sopravvivenza, generalmente gli animali non sono dotati di attitudine alla resistenza: insomma, nel loro caso la tentazione di mangiare un cibo appena conquistato, così come si presenta, è vitale. La scoperta quindi che gli scimpanzè siano disposti a rinunciare a un alimento crudo, per averne in cambio uno migliore poco dopo, è davvero interessante.
La ricerca ha preso le mosse dall’idea che cucinare è stato uno degli snodi fondamentali nell’evoluzione umana. Tra i primi a parlarne una quindicina di anni fa era stato Richard Wrangham, un antropologo di Harvard. Scorrendo la sua ricerca del 1999 (clicca qui), apprendiamo che circa 1,9 milioni di anni fa è accaduto qualcosa all’apparato digerente dei nostri antenati, nella dentizione e nelle dimensioni del corpo: questo prova che si era modificato qualcosa nel modo di alimentarsi.
Lo studio è complesso e articolato e mostra che il passaggio dal consumo di cibi crudi a quello di quelli cotti ha influenzato la struttura fisica e poi anche quella sociale dei primi ominidi (tra le varie domande nelle società primitive ce n’è una che resta tuttora cruciale in molte famiglie: a chi tocca cucinare?).
Wrangham spiega le sue teorie in modo ancora più approfondito nel libro “Catching Fire” (2009) (clicca qui). Lo studioso sostiene proprio che cucinare è l’abilità che ha trasformato la scimmia in uomo. Il primo passaggio è stato domare il fuoco, il secondo utilizzarlo per cucinare, rendendo così gli alimenti più sani, facili da conservare e permette di cibarsi di ingredienti che normalmente sarebbero troppo duri, impossibili da aprire o addirittura nocivi.
Tornando agli scimpanzè presunti chef, sul New York Times un video del giornalista scientifico James Gorman (clicca qui), mostra gli esperimenti fatti a partire da una patata dolce. Lo scopo di Felix Warneken e Alexandra G. Rosati era capire se i primati avessero l’abilità cognitiva di prepararsi da soli del cibo.
Essi non sono in grado di accendere il fuoco e di maneggiarlo, quindi gli scienziati sono partiti da una sorta di finzione: hanno fornito agli scimpanzè delle ciotole "magiche". Compito dell’animale è inserire il cibo crudo in una fessura e aspettare che se ne apra un’altra con il piatto cotto (che era già stato posto lì in precedenza).
Il fatto che il primate sia in grado di prendere la patata dolce e metterla in un contenitore specifico, per poi aspettare che ne esca modificata e più saporito, implica che abbia la capacità non solo di attendere, ma anche di comprendere che l’alimento si modifica, se si seguono determinate procedure.
Lo studio è complesso, ma la conclusione potrebbe apparire semplice e non lontana dalla realtà di alcune famiglie. In definitiva il gesto compiuto dallo scimpanzè non è molto diverso da quello di molti umani, per i quali cucinare si risolve nell'inserire un piatto congelato (evidentemente già preparato da qualcun altro) nel microonde, per vederlo magicamente uscire modificato, pronto e decisamente più buono.
Barbara Roncarolo
4 giugno 2015