Le sagre affondano le loro radici nelle antiche festività religiose che scandivano il calendario durante l'anno, come dimostra il termine stesso, derivato dal latino "sacer", cioè "sacro". Queste festività segnavano momenti chiave dei lavori agricoli, come l'inizio della semina, la fine del raccolto, le vendemmie, le fioriture e altri eventi cruciali per l'economia di un territorio. Storicamente coincidevano con le feste religiose, in particolare quelle patronali, in una commistione di sacro e profano.
Il cibo è spesso il filo conduttore che unisce questi due mondi: da un lato il rituale delle celebrazioni, dall'altro la convivialità che coinvolge tutti i partecipanti. Le sagre sono momenti di festa collettiva, dove le consuete regole del pasto vengono sovvertite. Non è un pranzo in famiglia, né una cena al ristorante: in piazza si mangia tutti insieme, e ai fornelli non ci sono cuochi professionisti, ma semplici appassionati. Partecipare a una sagra significa sentirsi parte di una comunità, anche solo per poche ore. Queste feste celebrano l'identità di un territorio, mettendo in risalto le specialità locali, vero e proprio tesoro della provincia italiana: ormai non c'è paese che non rivendichi un piatto tipico, un formaggio, un salume o un ortaggio dalle caratteristiche ineguagliabili. Non importa se i prodotti abbiano radici più o meno antiche, la sagra è il momento per raccontarli, cucinarli e servirli all'interno di un clima di autentica festa popolare.
Le specialità gastronomiche celebrate nelle sagre sono spesso già molto famose, come il tartufo d'Alba o l'anguilla di Comacchio. Tuttavia, a volte sono proprio le sagre a creare la fama di una specialità, come nel caso degli arrosticini abruzzesi. Originariamente, erano piccoli spiedini preparati durante le feste che segnavano l'inizio della transumanza, utilizzando la carne delle pecore che non sarebbero riuscite ad affrontare il lungo cammino verso la Puglia. Quasi una necessità, più che un prodotto tipico, e di sicuro nessuno avrebbe potuto prevedere il loro enorme successo odierno. L'aspetto più interessante delle sagre è la valorizzazione di questi prodotti tipici o delle preparazioni gastronomiche locali, spesso sconosciute al di fuori del loro territorio. È uno dei pochi momenti in cui si possono assaggiare le specialità autentiche cucinate secondo la tradizione locale. Un esempio è il "chiodo di maiale", celebrato a Quercia, una piccola frazione di Aulla. Questo piatto deriva da un'usanza contadina legata alla lavorazione del maiale, quando il norcino e lo speziale facevano una pausa per assaggiare l'impasto della salsiccia o della mortadella, cuocendo una piccola polpetta di carne nei testi di terracotta. Senza la sagra, questa tradizione sarebbe probabilmente dimenticata.
Se le sagre fossero solo una questione di cibo, non sarebbero così significative. Esse rappresentano un elemento cruciale per molti territori e le loro comunità. Il loro valore va oltre l'aspetto gastronomico, ed è per questo che il numero di sagre è cresciuto esponenzialmente negli ultimi decenni, arrivando a circa 40.000 manifestazioni all'anno in tutta Italia. Per molti piccoli centri rappresentano il momento principale di celebrazione della propria identità che ruota intorno a un simbolo gastronomico, sia esso una focaccia, un formaggio o un tipo particolare di pasta. Un tempo queste grandi riunioni popolari erano costituite dalle fiere contadine dove si vendeva il bestiame e si scambiavano le primizie, veri momenti nodali nella vita contadina di un tempo. Il passaggio cruciale è stato quello di mettere al centro una specialità culinaria: un vero e proprio cambiamento di paradigma. Oggi le sagre sono spesso viste come retaggi di un passato antico, ma in realtà si tratta di un fenomeno relativamente recente, nato all'inizio del Novecento e cresciuto esponenzialmente dopo gli anni Sessanta. Si potrebbe dire che il desiderio di celebrare le proprie radici attraverso il cibo è una delle cose più moderne che conosciamo.
Durante le sagre non mancano giochi a tema gastronomico e il più famoso di tutti è indubbiamente l'albero della cuccagna. Le squadre si contendono un bottino posto in cima a un lungo palo, di solito abbondantemente ingrassato per rendere difficile l'arrampicata. Salami e prosciutti attendono di essere afferrati dai vincitori, come nel più classico paese di Bengodi. Ci sono poi sagre famose per altri tipi di "miracoli" come quella dell'uva di Marino, istituita nel 1925, dove le fontane pubbliche distribuiscono vino anziché acqua. Fin dalla prima edizione, grandi cisterne di vino vengono collegate con l'impianto idrico delle fontane per la gioia della popolazione. Ancora oggi si può attingere il vino dalle fontane durante la festa, basta armarsi di tanta pazienza. Un evento straordinario che ha origini antiche: nella Roma seicentesca, in occasione dell'elezione di Papa Innocenzo X e di Papa Clemente X, le fontane alla base del Campidoglio gettarono vino alla folla stupita.
L'idea di raccontare le sagre d'Italia con un libro (sagre d'italia, slow food editore, 29,90 euro) è venuta a Donatella Alquati e Giorgio Mininno, due giovani designer che hanno girato l'Italia per scoprirne i diversi volti. "Le sagre hanno un grande fascino dal punto di vista delle tradizioni, ma anche da quello estetico che si può catturare attraverso la fotografia", racconta Giorgio Mininno, "e presentano caratteristiche molto diverse tra loro. Si va dalle manifestazioni organizzate in modo superprofessionale come quella dell'asparago di Santena (TO), che assomiglia a un enorme ristorante con tanto di chef in divisa che dirigono il personale volontario trasformato in una vera e propria brigata di cucina. Ci sono poi sagre di dimensioni minime", continua l'autore, "come quella di Porto, una frazione di Castiglione del Lago che conta 150 abitanti, e arriva a decuplicare il numero durante la festa grazie agli emigrati che tornano per cucinare la specialità del loro paese. Un contesto davvero unico per assaporare la cucina del piccolo borgo»
Luca Cesari, storico della cucina
giugno 2024