La notizia è su tutti i giornali: un ristoratore di Firenze è stato condannato a pagare una multa di 5 mila euro per il trattamento inflitto ad astici e granchi. Li teneva in frigorifero con le chele legate. Con l'intenzione -ci viene da dire- di farli passare direttamente dal letto di ghiaccio alla pentola colma di acqua bollente, seguendo così i rigorosi dettami dell'alta cucina.
Con questa sentenza "il Tribunale di Firenze conferma anche a livello giuridico la teoria sostenuta da sempre più esponenti del mondo scientifico – commenta l’avvocato della LAV, Lega antivivisezione, che ha presentato l'esposto nel 2012 – le aragoste detenute sul ghiaccio sono in uno stato di malessere e stress e pertanto chi li sottopone a tali condizioni causa loro una sofferenza punibile".
Non so a quanti è capitato di vedere un'aragosta finire nella pentola sul fuoco, ma è uno spettacolo capace di muovere anche gli animi meno sensibili. Ciò detto resta aperto il dibattito su dove bisogna porre il confine tra il rispetto per gli animali e i legittimi desideri di compiacere i palati gourmand e di seguire tradizioni culturali e gastronomiche di antica memoria. Tanto più in questi giorni, quando, immemori delle aragoste, ci si prepara a festeggiare la Pasqua in buona compagnia, magari rosicchiando fino all'ultimo boccone tenerissime costolette di agnello macellate per l'occasione. O quando, come sostengono gli attivisti della PETA, Poeple for Ethical Treatment of Animals, associazione animalista attiva su base internazionale, si spinge l'allevamento intensivo delle uova per soddisfare l'aumentata richiesta sul mercato: a Berlino hanno protestato sfilando davanti alla porta di Brandeburgo travestiti provocatoriamente da polli.
Bisognerebbe rinunciare al gioco goloso di colorare le uova per il pranzo di Pasquetta? Alle tradizionali trecce pasquali decorate con le uova, antico simbolo della vita che si rinnova? O bandire dalla tavola l'animale sacrificale per eccellenza? Difficile dare una risposta univoca. Forse, come sempre, la soluzione è in un consumo del buon senso: poco, buono e consapevole.
(Fonti: Ansa, La Repubblica, Avvenire)
Livia Fagetti
16 aprile 2014
Photocredit: Roger Richter/Corbis