Il sushi è stata la ciliegina sulla torta di un movimento, lento ma costante, con cui il riso ha riconquistato il suo posto in tavola. Nella patria di questo cereale (di cui tendiamo a dimenticarci di essere il primo produttore d’Europa e il terzo al mondo), però, il revival del riso non è partito dai grandi piatti della tradizione italiana (uno per tutti, il risotto) ma è stato trainato dalla passione per la cucina etnica. Che si tratti del nasi goreng, del riso alla cantonese e del mochi giapponese, o dei meno esotici rice pudding e paella alla valenciana, fatto sta che improvvisamente agli occhi degli italiani il riso sembra qualcosa di nuovo e inesplorato, non più “relegato” al mondo dei primi piatti tradizionali ma capace di rappresentare un contorno elegante e gradevole per piatti di carne e di pesce, di abbinarsi a verdure e frutta cotta in ricette salate o dolci, di dare vita insieme ai legumi a monopiatti sani e completi. Alla riscossa del riso hanno contribuito anche le sue caratteristiche nutritive, come l’alta digeribilità (bastano 60-100 minuti contro le 3-4 ore della pasta), e l’assenza di glutine, che lo rende adatto anche ai celiaci. Per non parlare della semplicità visto che il riso viene consumato senza essere trasformato: arriva in tavola così come nasce nel campo, dopo una semplice azione di pulitura e lavorazione meccanica.
Italianissimo ma sempre più esotico
Il “revival” del riso si accompagna alla curiosità per le sue declinazioni, che sono tantissime: basti dire che nel mondo se ne coltivano oltre 5mila varietà. La globalizzazione ha fatto arrivare nei negozi italiani decine di varietà esotiche, che si sono affiancate alle oltre 180 iscritte nel Registro Nazionale delle varietà che si coltivano in Italia.
Non stupisce, quindi, che gli italiani comprino sempre più spesso riso d'importazione (+30% nei primi 5 mesi del 2016), che arriva dall'Estremo Oriente (soprattutto da Cambogia e Myanmar) favorito dall’abolizione dei dazi comunitari, che lo rendono più economico del 30% rispetto al riso italiano.
Basmati: il re della cucina asiatica
È il riso orientale per eccellenza, anche se in realtà la denominazione “basmati” non identifica una sola varietà ma ben 14, simili per caratteristiche organolettiche e provenienza (India e Pakistan). Una curiosità: anche in Italia vengono ormai coltivati risi simili al Basmati, come le varietà Apollo, Asia, Brezza, Elettra, Febo, Fragrance, Gange, Giano, Giglio.
Cosa accomuna tutti questi risi? Prima di tutto il chicco, molto affusolato e traslucido, che in cottura tende ad allungarsi emanando un leggero e inconfondibile profumo, che ricorda quello di sandalo. Di qui proviene il suo nome, che significa “regina di fragranza”.
Il basmati viene generalmente cotto a vapore e servito come contorno per delicati piatti di pesce, carni bianche o verdure, e in ricette tradizionali orientali, come il byriany o il riso al curry. Poiché i suoi chicchi affusolati restano ben separati una volta cotti, il basmati è anche molto indicato per le insalate di riso. Ed è anche consigliato in un’alimentazione salutista, perché è il riso con il più basso indice glicemico.
Vuoi ottenere il meglio dal basmati? Allora verifica in etichetta se va lavato prima dell’uso oppure no (in questo caso significa che è una varietà già povera di amido o che è già stato lavato). Passandolo sotto l’acqua corrente, infatti, il basmati perde l’amido superficiale e così i chicchi non tendono ad appiccicarsi dopo la cottura.
Quanto al modo in cui cuocere il basmati dipende dal tipo di ricetta che si sta preparando. Se il riso serve per fare un’insalata, meglio la bollitura classica, che lo priva completamente dell’amido e lascia i chicchi sgranati. Invece il basmati cotto per assorbimento (ossia in acqua, con un rapporto due-tre tazze di acqua ogni tazza di riso) risulta leggermente più legato e quindi più adatto ai contorni.
Thaibonnet: l’orientale in versione italiana
Come il Patna e i Basmati, anche questo riso tipicamente asiatico, ma ormai ampiamente coltivato in Italia, appartiene alla sottospecie Indica. È caratterizzato dai chicchi di forma affusolata e dal gusto delicato.
Il suo punto di forza è la velocità di preparazione: cuoce in 10-12 minuti, in poca acqua salata, ed è perfetto consumare lessato, condito con olio di oliva e Parmigiano Reggiano, o come contorno alle verdure cotte, anche condito con salse vegetali. Il thai è l’ideale anche da friggere nel wok per il riso alla cantonese e per accompagnare il pollo al curry.
Essendo poco colloso, è ideale per le insalate di riso. Il suo alto contenuto di amilosio lo rende adatto anche per i risotti, purché siano molto mantecati.
Riso nero: il colore che conquista
Il riso nero è originario della Cina, dove era riservato all’imperatore alla sua corte (e perciò era detto “riso proibito”) e deve il suo colore alla particolare pigmentazione del pericarpo, che si deve all’alto contenuto di alcuni antiossidanti, e in particolare di due antocianine (cianidina e pelargonidina). Ed è anche particolarmente ricco di fibre e sali minerali, tanto da essere considerato un alimento funzionale.
Ma da qualche tempo ha conquistato la Pianura Padana, dove ne vengono coltivate varietà integrali brevettate (come il Nerone e l’Artemide), ottenuto incrociando quello cinese con varietà locali in modo da ottenere un riso adatto all’ambiente e al clima tipici italiani. Il primo riso nero creato in Italia è stato il Venere, prodotto con una filiera controllata e tracciata in Piemonte e Sardegna. Molto apprezzato per l’effetto cromatico che assicura nel piatto (e per questo molto gettonato anche in pasticceria) il riso nero è anche molto piacevole per il suo intenso sapore, perfetto per accompagnare piatti di pesce o crostacei. E dà il suo meglio bollito, saltato in padella o in risotto.
Manuela Soressi
novembre 2017