Sono l’organo della pianta addetto ad assorbire acqua e sali minerali dalla terra, le radici. E dalla terra escono pallide, queste radici: bianche e amarognole, a differenza delle loro cugine, le colorate dolci carote - anch’esse radici, appunto, come d’altronde sono le virtuose rape o l’antidiabetica patata dolce. Anche quando tuberiformi (ossia panciute come una carota e non a forma di grissino), non vanno confuse coi tuberi, come il topinambur o la patata, naturalmente - che sono sostanzialmente porzioni ingrossate del fusto della pianta, con una funzione di serbatoio di sostanze glucidiche.
Radici bianche amare, dunque. Spesso le avvistiamo sul banco del mercato e giriamo lo sguardo. Troppo amare? Troppo difficili da pulire? Troppo sconosciute da cucinare? Ebbene, è l’ora di riprenderle in mano! E poi sappiatelo: non ci sono più le radici di una volta. Anche loro si sono adeguate ai gusti moderni e oggigiorno sono meno amare, ingentilite probabilmente dal cambiamento climatico.
La più famosa tra le radici bianche amare è quella di Soncino (CR) dove da decenni si promuove la Sagra della Radice Amara. Si tratta della radice di una varietà di cicoria comune (Chicorium intybus, var. sativus).
La sua origine è probabilmente ligure, e proprio in provincia di Genova cresce un’altra varietà ottima (sativus Bischoff), detta localmente “chiavarina” (dalla località di Chiavari).
Anche se la radice più famosa e pregiata è lì la scorzonera, marrone fuori, bianca dentro, dal sapore più dolce, sofisticato e delicato, squisita passata in padella, con burro, vino bianco e limone. Oppure impanata alla milanese!
Comparabile a quest’ultima è anche il gobo, che altro non è che la radice della bardana, apprezzatissima in Giappone e ora di ritorno anche da noi (mentre in Francia lo usano tipo asparago). La loro dolcezza permette di utilizzarle golosamente anche come ripieno di deliziose torte salate.
Ma torniamo a quelle un po’ più amare, dato che quell’amaro è tutta salute… Queste radici un tempo erano apprezzatissime, innanzitutto per il loro valore medicinale: sono un depurativo straordinario, per il sangue e per l’intestino. Già gli antichi greci e romani le usavano. Indubbiamente disintossicano fegato e reni: basta mangiarne una porzione per intuire questa loro proprietà! Non solo: aiutano la crescita nel colon dei famosi batteri Bifidus - quelli che cerchiamo di stimolare con alcuni yogurt, che evitano i processi di fermentazione indesiderati. Inoltre aiutano ad assorbire il ferro: perfette dunque per chi soffre di anemia.
La pulizia può essere un po’ noiosa, ma ecco un trucco: “sacrificate” una spugnetta da cucina e le grattate con la parte ruvida, ciò vi semplificherà la vita. A questo punto si possono lessare: patrimonio comune vuole che sia bene aggiungere un po’ di limone e/o aceto all’acqua. In realtà il suggerimento, per fare andare via un po’ di amaro, è di mettere nell’acqua una carota tagliata a pezzi.
Si mangiano tiepide o fredde, condite tipicamente con olio evo, sale, limone (e aceto, a chi piace) e aglio. A Chiavari ci mettono anche l’acciuga sott’olio, e la radice diventa gourmet! Sono perfette da abbinare a secondi di carni grasse, perché “spurgano”. Oppure si possono in un secondo tempo gratinare al forno, aggiungendo magari un formaggio dolce. O ancora in una pie golosa perfetta anche per gli ospiti veg!
Per quanto riguarda la conservazione, è bene metterle in un sacchetto di plastica in frigo per conservare l’umidità. Ma attenzione, c’è una grande differenza tra le radici bianche amare tuberformi e quelle “a grissino” (come quella di Soncino). Mentre le prime non darebbero impulso a una nuova pianta, e dunque col passare dei giorni appassiscono, si afflosciano, le seconde sono ‘vive’ e continuano a ‘lavorare’: il ciuffetto verde cresce e fiorisce, la radice può buttare altre radicette mentre lei diventa sempre più dura, legnosa. Nel giro di una settimana avrà la consistenza di un osso! Infatti ‘i vecchi’ ai tempi in cui non si buttava davvero via nulla, quando anche erano già dure spesso le facevano bollire a lunghissimo per poi scalpellar via la parte oramai inutilizzabile. Conclusione: mangiarle il prima possibile! Ancora qualche idea sul come? Vellutate, abbinandole e mescolandole con le nostrane, amabili patate. O crocchette (magari insieme a legumi e sapori).
E infine, una nota: paese che vai, radice che trovi. Il comun denominatore è che sono le "bianche amare".
Ce ne sono anche di meno amare (e meno bianche!), naturalmente, come quelle accennate sopra (scorzonera&co) oppure la pastinaca, grande, dura e dolce, una sorta di carotona bianca un po’ prezzemolosa (da provare per esempio in un rosti con le carote, o sottoforma di crema).
E il Giapponese daikon, sempre più comune anche da noi, un bruciagrassi naturale dal sapore piccante e deciso. Da assaggiare in uno sformato saltato con germogli. Altro comun denominatore è: sono tutte poverissime di calorie! Ma date una chance anche a quelle amare, fidatevi, il vostro corpo ringrazierà e il palato potrà avere delle sorprese.
Aurora Quinto,
aggiornato febbraio 2024