Tra le tante varietà di pomodorini campani, protagonisti indiscussi della cucina regionale e pure dei presepi napoletani, quelli che crescono sulle pendici vulcaniche hanno un bouquet aromatico unico. Sono i Pomodorini del Piennolo del Vesuvio, con tanto di certificazione Dop e Consorzio di tutela, discendenti di vecchie cultivar autoctone dai nomi fantasiosi (Principe Borghese, Re Umberto, Fiaschella, Lampadina, Patanara) con caratteristiche molto simili, a cominciare dal vivace sapore dolce acidulo e il rosso intenso della buccia spessa e della polpa consistente. Sono ovali, leggermente costoluti e pesano almeno 25 g ciascuno. Questo vale per i pomodorini freschi, ma ci sono anche quelli conservati "al piennolo" (pendolo in napoletano, da qui il loro nome), appena più scuri e saporiti, in grappoli da 1 a 5 chili ottenuti unendo tante scocche (i grappolini recisi) con una tecnica inventata dalle mogli dei pescatori che con un sapiente gioco di intrecci, come quello usato per riparare le reti, creavano robusti mazzi di pomodorini che appendevano in locali ben areati per farli asciugare. Il metodo non è cambiato e, oggi come allora, i pomodorini esposti all'aria perdono gradualmente consistenza concentrando i loro aromi e conservarsi al naturale fino a primavera. È l'elevata acidità dovuta alla concentrazione minerale del terreno vulcanico, però, a rendere possibile la lenta conservazione senza impoverimento delle qualità organolettiche. Con altre varietà di pomodorino, infatti, non sarebbe possibile ottenere un prodotto simile. L'importante, comunque, è selezionare e recidere i grappoli che presentino un terzo circa di pomodorini ancora in fase di maturazione per prolungare il periodo di conservazione a regola d'arte e consumarli al bisogno staccando man mano i pomodorini pronti: raggrinziti ma non troppo. In alternativa, i Pomodorini del Piennolo, si possono mettere sotto vetro "a pacchetelle", divisi in due e conservati nel loro sugo al naturale. Come spiega Francesco Ambrosio, titolare dell'azienda agricola L'oro del Vesuvio dove coltiva anche la varietà gialla Giaggiù (non è certificata perché solo recentemente riscoperta) e con i Pomodorini del Piennolo realizza anche confetture e polveri, "gran parte del territorio della Dop si trova nell'area del Parco Nazionale del Vesuvio dove l'uso di acqua per l'irrigazione è ridotto allo stretto necessario". Il che rende i pomodorini, oltre che sostenibili, ancora più buoni grazie alla concentrazione dei succhi. Anzi, sembra che la tipica punta del pomodorino si sia sviluppata proprio qui, per catturare più a lungo la rugiada del mattino e reidratarsi. "Inoltre, come certificato dall'Università di agraria Federico II che sta studiando questa varietà di pomodoro, il ridotto contenuto di nichel e la maggior concentrazione di potassio e fosforo, la rende più digeribile". Si usano per condire la pasta, insaporire i secondi, soprattutto di pesce, pane e patate dando un tocco unico a ogni piatto. Secondo la leggenda, infatti, il terreno vesuviano è speciale perché bagnato dalle lacrime di Gesù (da qui il vino locale Lacryma Christi). Quel che è certo, invece, è che i "regali" Pomodorini del Piennolo sono arrivati a Napoli in pompa magna a metà ‘700, quando il vicerè peruviano ne fece dono a Ferdinando IV, appena incoronato.
Silvia Bombelli,
settembre 2023