Tanto antichi quanto gustosi, i pizzoccheri hanno fatto la storia. Nati in un piccolo borgo della Valtellina, hanno sfamato per secoli gli abitanti di Teglio. Una popolazione prettamente contadina, questa, che ha sempre trovato sostentamento dai propri raccolti e dalle proprie mani. È così che è nato il pizzocchero, un tradizionale primo piatto, povero ma sostanzioso, che ha saputo coniugare la grande disponibilità di grano saraceno con gli ingredienti dell'orto e i prodotti dell'allevamento.
La prima testimonianza documentale in cui vengono citati i pizzoccheri della Valtellina risale al 1548, quando la pasta tipica della vallata fa la sua comparsa nel “Catalo dell’inventario delle cose che si mangiano, et delle bevande c’heggedì s’usano" scritto dall'umanista italiano Ortensio Landi. La ricetta originale viene gelosamente custodita dall’Accademia del Pizzocchero di Teglio, che è stata fondata nel 2002 e che ne detiene il primato, senza eguali. Già nel XVII secolo la coltivazione del grano saraceno, che è il principale fondamento per la storia di questo piatto, era molto diffusa nella zona della Valtellina, tanto che la farina scura è proprio quell'ingrediente "segreto" che rende questa pasta unica nella sua forma e nella sua consistenza.
I pizzoccheri, poi, hanno un famoso riferimento culinario all'interno dell'opera di H.L Lehmann Die Republik Graubündeni. Portano il nome di Perzockel, descrivendolicome tagliatelle di saraceno con l'aggiunta di uova. Inizialmente ci si dedicava alla cottura della pasta e poi si passava al condimento: si aggiungeva il burro mescolato con del formaggio grattato. Nelle case contadine, tuttavia, la ricetta era la stessa ma cambiava il formato. Invece delle tagliatelle si preferiva preparare gli gnocchi. Le case dei contadini erano molto piccole e gli spazi si facevano stretti, a volte anche stendere la sfoglia diveniva complicato. Da qui il motivo di optare per una pasta più "confort".
Solo dai primi dell’Ottocento sulle tavole dei valtellinesi più benestanti comincia a comparire il piatto di pizzoccheri simile a quello attuale. Maggior ricchezza portava a maggior sostanza, anche in tavala. Perciò si lavoravano delle tagliatelle grossolane di grano saraceno e farina bianca in proporzioni variabili a seconda delle località, con un ricco condimento composto da patate, verze o coste o fagiolini a pezzi. Successivamente i pizzoccheri venivano scolati e ricoperti con strati di due tipi di formaggio a scaglie: uno più magro chiamato féta e un semigrasso più stagionato. Non si facevano mancare nulla, infatti sul gran finale, tutto il preparato veniva poi arricchito con una buona dose di strutto accompagnato da aglio. In alcune zone, quest'ultimo veniva sostituito da cipolla e salvia.
Un buon consiglio? Se volete dei pizzoccheri doc, utilizzate il formaggio Casera DOP, un formaggio semigrasso prodotto esclusivamente in Valtellina e protetto da un marchio di tipicità.
Oltre alla versione originale, che nel 2016 ha ottenuto l'Igp, questo piatto si presta a varianti creative: cavolini, cime di rapa, zucca e scarola sostituiscono le verze e il loro potere "sgrassante", mentre l'effetto fondente è affidato al gorgonzola o alla provola dolce.
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Di Elena Strappa