Questo piatto meraviglioso della tradizione italiana è una ricetta piemontese – ma anche le cucine lombarda, veneta ed emiliana si contendono la paternità del piatto – probabilmente nata nel Cuneese all'inizio del XVIII secolo. La cucina piemontese del passato è stata molto influenzata dai contatti continui con i porti liguri (pensiamo alla bagna cauda). Fin dal Medioevo le acciughe sotto sale erano richieste da tutte le regioni che non si affacciavano sul mare, e il loro mercato era affidato agli acciugai: il sale era però carissimo e i venditori di alici sottosale della regione dovevano recarsi in Liguria per acquistare il sale. Per evitare i dazi richiesti da doganieri francesi e genovesi, spesso lo facevano entrare di contrabbando, nascosto in botti e coperto da strati di alici.
Negli anni Ottanta, in un momento di particolare esterofilia gastronomica, per alcuni ristoratori proporre i classici cibi tradizionali non aveva attrattiva, così che il povero vitello tonnato si ritrovò suo malgrado un nuovo nome – “vitel tonné” – che pure di francese non aveva che la pretesa, visto che vitello, in francese, si dice “veau”. E dire che il piatto era nato popolare, preparato con gli avanzi della carne di vitello, lessata a lungo per ottenere la giusta morbidezza.
Sfogliando i ricettari di cucina piemontese si trovano infatti spunti interessanti sul “vitello a uso tonno”, una preparazione che si può considerare antesignana al vitello tonnato di un secolo fa, in cui la carne di vitello viene trattata per assomigliare il più possibile al tonno sott’olio: una ricetta ‘all’antica’ che non prevedeva salsa ma che metteva la carne lessata a pezzettoni in un vaso, la copriva con abbondante olio bollente e la lasciava riposare, ermeticamente chiusa, per almeno tre-quattro giorni. Al consumo, i pezzi di vitello si sgocciolavano e si sbriciolavano come tranci di tonno sott’olio. La prima attestazione di questa ricetta appare nell’opera di Giovanni Felice Luraschi, Il nuovo Cuoco Milanese economico, 1829, dove già si suggerisce una salsa di accompagnamento con le acciughe: “…sopra un poco d’olio ed una spremuta di limone mischiata insieme, guarnitelo con fiori della stagione o fatti ad arte e sarà meglio servirlo con una gremolata o salsa d’acciughe”.
Nel La Regina delle Cuoche (1882) – ricettario-manuale del Prof. Dott. Leyrer, appare la primissima attestazione del nome e della versione moderna della ricetta del vitello tonnato. Siamo a pochi anni prima dell’Artusi e compaiono per la prima volta sia il nome moderno di vitello tonnato sia il tonno nella salsa che accompagna la carne, come alternativa alla ricetta originale (vedi foto sotto).
Entrambi vengono ripresi nella ricetta riportata da Pellegrino Artusi nella sua Scienza in cucina e l'arte di mangiar bene (1891), nel capitolo nel capitolo “Rifreddi”, cioè pietanze cotte da mangiare fredde. Il grande gastronomo romagnolo raccomandava “vitella di latte, nella coscia o nel culaccio” steccata con I pezzetti di due acciughe aperte e spinate e poi bollita “con due chiodi di garofani, una foglia d’alloro, sedano, carota e prezzemolo”. La carne, una volta raffreddata, andava tagliata a fette sottili e tenuta “in infusione un giorno o due” in una salsa a base di acciughe disfatte, tonno sottolio, limone, olio e capperi. “Il brodo colatelo e servitevene per un risotto”: niente si buttava via.
Va sottolineato che quella descitta dall’Artusi è la preparazione fredda, tipicamente estiva: il vitello tonnato era uno dei piatti di Ferragosto, in Piemonte come nel resto del Nord Italia, forse diffuso dalle truppe piemontesi durante il Risorgimento. In Piemonte era prevista anche una preparazione calda, tipicamente invernale, dove la cottura del “rotondino” (il girello di fassona) non prevedeva necessariamente la lessatura in brodo, ma lo vedeva marinato e poi cotto in casseruola con acciughe dissalate, poca farina, tuorli semisodi, brodo e la stessa marinata; veniva servito a fettine, con la sua salsa di cottura ristretta e arricchita da prezzemolo e succo di limone.
Sebbene al giorno d’oggi il vitello tonnato venga comunemente preparato con la maionese, gli esperti e i gastronomi considerano la ricetta autentica sia quella originale, “all’antica” citata da Leyrer e Artusi (foto sopra, vitello tonnato all'antica). Qui trovate la ricetta all'antica piemontese.
Nonostante la maionese fosse conosciuta al tempo (la sua presenza ne “La Scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” testimonia che rivestiva un posto importante nella cucina del periodo, sebbene Artusi la accompagna al pesce lesso e non alla carne o al pesce da conserva), non incontrerà il vitello tonnato fino a molti anni dopo, quando esattamente non si sa. Alcuni suggeriscono a causa del presenza dell’esercito Americano in Italia e della crescente influenza della cultura americana durante gli anni ’60 e ’70 (ma fatta in casa è buonissima!). Qui trovate una versione light senza maionese. Qui vi raccontiamo la ricetta e e le rivisitazioni moderne del vitello tonnato.
Francesca Tagliabue
luglio 2024