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Vino Santo: ecco cosa è l'highlander dei passiti

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Sei mesi di essiccazione e quattro anni (almeno) di affinamento: ci vuole pazienza per gustare questo vino Dop trentino

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Una vocale che fa una grande differenza: sì perché il Trentino Dop Vino Santo ha poco da spartire con il Vinsanto toscano, da cui lo divide solo quella “o” finale. Sono entrambi passiti, ma quando li assaggia e li si abbina rivelano due personalità molto diverse. Riassumendo (e semplificando): il Vino Santo è dolce ma anche acido, e l’equilibrio perfetto tra questi due gusti lo rende molto gradevole, per niente stucchevole e anche sorprendentemente fresco, il che è piuttosto curioso considerato il lungo appassimento delle uve (sei mesi, un record mondiale) e la lunghissima maturazione (almeno quattro anni, che di solito arrivano a sette anni e per qualche produttore anche a dieci anni). Un vino dal caldo colore, che varia dall’oro all’arancio, con un sontuoso bouquet di profumi di frutta secca e un gusto avvolgente e mielato, perfetto da abbinare a pasticceria secca, con frutta secca, e a formaggi maturi, anche erborinati.

Due volte santo

Il vinsanto è detto così probabilmente perché era riservato alle funzioni religiose. Invece il Vino Santo trentino deve il suo nome alla tradizione di effettuare il primo di novembre, festa di tutti i santi, la vendemmia delle uve usate; ossia quelle della varietà Nosiola, a maturazione tardiva e perfette da essiccare grazie alla buccia spessa e alla spiccata acidità. Ma c’è anche chi sostiene che, in realtà, lo si debba al fatto che i grappoli spargoli vengono lasciati appassire sui graticci per sei mesi, ossia finché arriva la Settimana Santa, quando se ne inizia la vinificazione. Che sia l’una o l’altra la spiegazione corretta non sta a noi stabilirlo, per ora ci limitiamo a constatare che si tratta di un vino doppiamente santo. E dalla storia intrigante. Molto apprezzato nell’impero austro-ungarico, con l’annessione di Trento al Regno d’Italia deve fare i conti con altri passiti ben più radicati e caratterizzati da appassimenti più brevi, e quindi minori costi. Da qui la crisi, al punto che le famiglie di viticoltori continuano a produrlo (e a regalarle l’annata di nascita ai neo-18enni) ma non a commercializzarlo. Finché, negli anni ’60, si ricomincia a puntare su questo vino unico al mondo. Oggi il Trentino Dop Vino Santo resta un prodotto di nicchia, con 20mila bottiglie annue realizzate da una decina di produttori. Ma quel poco che si fa si vende e gli appassionati se lo contendono. La bottiglia più giovane in commercio è del 2012 e se la trovate a 30 euro fate un affare.

Perché è unico

Il Trentino Dop Vino Santo si produce solo nella Valle dei Laghi, una terra dove il clima è scandito da due venti, dalla precisione asburgica. Quello del mattino è il Pelèr: umido e freddo, batte contro le montagne che circondano la valle del Sarca arricchendo l’aria di microrganismi, mentre quello del pomeriggio (il mitico Ora del Garda) le toglie l’umidità. Questo gioco di venti permette l’appassimento perfetto delle uve di Nosiola, l’unico vitigno a bacca bianca autoctono del Trentino, perché realizza un doppio piccolo miracolo: durante la lunga essiccazione forma e trattiene negli acini la botrytis cinerea, “incapsulandola” in modo naturale, e permettendo così che questa muffa nobile dia carattere e longevità a questo vino. Ma non solo: il secondo miracolo è che rende “buono” questo microrganismo che invece, quando si presenta in campo, per i vigneti è una sciagura perché genera la muffa grigia che penalizza la qualità delle uve.

Nel caso del Vino Santo, invece, la botrytis cinerea resta intrappolata negli acini e durante l’essiccazione li rende via via più bruni, ne accentua la disidratazione e ne concentra gli zuccheri, donando note e aromi inconfondibili.

Il fattore tempo

Dopo sei mesi di appassimento, in cui il peso delle uve si riduce di circa un terzo, con la Settimana santa arriva il momento della spremitura. Il mosto viene, quindi, travasato più volte e lasciato decantare. Poi inizia la fermentazione, che avviene in recipienti di acciaio. Quando si è stabilizzato, si passa all’affinamento per cui il vino viene travasato in botti di legno. Infine, dopo almeno quattro anni (ma si arriva anche a dieci e oltre) si passa all’imbottigliamento. Ma non finisce qui, perché da imbottigliato il Trentino Dop Vino Santo può reggere per decenni, diventando via via più pieno e persistente, come si scopre visitando la Casa Caveau Vino Santo, ricavata in un appassitoio ottocentesco a Padergnone, poco fuori Trento.

Manuela Soressi,
dicembre 2023

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