Può sembrare che la pizza abbia avuto una grande evoluzione nel corso degli ultimi decenni, ma la sua storia è antichissima. Molti la fanno risalire ai Babilonesi, altri agli Egizi; ancora oggi il pane arabo, usato come piatto di altri alimenti, somiglia molto alla pizza napoletana, circolare, elastica e soffice. Il termine «pizza» è documentato dal 997 d.C. quando sembra apparire per la prima volta in un contratto di locazione di un mulino sul fiume Garigliano, registrato nel Codex Cajetanus di Gaeta, dove viene chiamata così un tipo di focaccia.
Gli antichi greci realizzavano pani schiacciati e variamente conditi chiamati pitta; romani: nell’Eneide di Virgilio, Enea e i suoi mettono il poco cibo che hanno su mense – ovvero piatti fatti di pane – e tormentati dalla fame mangiano anche quelli (foto sopra). Precursore della pizza odierna fu probabilmente una focaccia conosciuta dai romani come panis focacius, alla quale venivano poi aggiunti dei condimenti, qui raffigurata in un affresco del I secolo d.C. a Pompei (foto sotto).
Nella Napoli del XVI secolo, girava una focaccia tipo galletta che veniva chiamata pizza: conosciuta come piatto dei poveri, in particolare come cibo da strada, fu considerata una vera ricetta di cucina solo molto più tardi. La pizza moderna si è evoluta da piatti simili a una base di focaccia: il primo, vero riferimento alla pizza lo troviamo nel manuale di cucina Il cuoco sapiente del 1871 in cui appaiono tre ricette che indicano gli stili della pizza più diffusi nella capitale del Regno: la ‘pizza alla napoletana’, la ‘pizza con le acciughe’ (salate, non fresche) e la ‘pizza con il cacio’. Va sottolineata l’assenza del pomodoro perché all’epoca era molto più diffusa la versione bianca della pizza. Poi venne una versione con pomodorini freschi (non salsa) e la mozzarella, descritta però come un ”formaggio di pecora”, quindi si deve pensare che non fosse quella che conosciamo oggi.
La prima comparsa della Pizza Napoletana può essere fatta risalire al periodo compreso tra il 1715 e il 1725. Vincenzo Corrado, capocuoco del principe Emanuele di Francavilla, in un trattato sulle derrate più comunemente usate a Napoli, affermava che il pomodoro veniva utilizzato per condire pizza e maccheroni, associando così due prodotti che sono stati all'origine della fama della città di Napoli e motivo del suo inserimento nella storia della gastronomia. Questa citazione segna la nascita ufficiale della “Pizza Napoletana”, un disco di pasta condito con pomodoro. Nell'anno 1843 il Re di Napoli, Ferdinando II di Borbone, venne a conoscenza di questo ghiotto cibo da strada e, per gustare il piatto secondo tradizione, infranse il galateo di corte e visitò una delle pizzerie per gustare le stesse pizze che si vendevano agli angoli delle strade. Da quel giorno, per soddisfare il capriccio del sovrano, fu approntato nella reggia di Caserta un forno e fu fatto venire un pizzaiolo.
Nella prima metà dell’Ottocento, Alexandre Dumas descrive nel suo Corricolo i vari tipi di pizza che si potevano allora degustare a Napoli: all’olio, al lardo, alla sugna, al pomodoro, al formaggio, e altre “cucinarie napoletane”. All'inizio del Novecento, il famoso libro di cucina di Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene, riporta tre ricette di pizza, tutte dolci: la pizza alla napoletana (609) è una frolla con ricotta e mandorle; c’è poi la pizza a libretti (fritta, 252) e la pizza gravida, una frolla con pinoli e uvetta. Dopo il riscontro di alcuni lettori, Artusi aggiunse nell'edizione del 1911, rilegato al volume, un foglio dattiloscritto con la ricetta della pizza alla napoletana salata, con mozzarella, pomodori, acciughe e funghi. La prima edizione de Il Talismano della felicità di Ada Boni include finalmente una ricetta con pomodoro e mozzarella.
Il racconto lo conoscono in molti, e sembra provato che al giovane pizzaiolo Raffaele Esposito, proprietario della «Pizzeria della Regina d’Italia», nel 1889 fu chiesto di preparare delle pizze per Margherita di Savoia (foto sotto), consorte di re Umberto I. Esposito preparò tre pizze, la pizza alla Mastunicòla (strutto, formaggio e basilico), la pizza alla Marinara (pomodoro, aglio, olio e origano) e una terza a base di pomodoro, mozzarella e basilico, in omaggio ai colori della bandiera italiana, pizza che la sovrana mostrò di gradire particolarmente. Non ci sono testimonianze certe che alla pizza venne dato il nome in omaggio alla sovrana, e c’è chi afferma che tale tipo di pizza – a base di pomodoro, mozzarella e basilico – sia nata a Napoli ben prima dell’Unità d’Italia, e che sarebbe stata poi intitolata alla regina solo in seguito.
Va inoltre ricordato che negli anni Ottanta dell’Ottocento prenderà il via il costume di intitolare alcune preparazioni culinarie alla regina Margherita di Savoia, nota bongustaia: ci saranno la «Zuppa alla Regina Margherita», la «Pasta Margherita», la «Crema Margherita» e perfino la «Schiuma (mousse) di pernici alla Margherita» tra le altre, per cui l’intitolazione della pizza avrebbe un senso nel rispetto di questa tendenza. Della pizza Margherita e della sua storia (leggenda?) parlerà molto più tardi Edmondo Cione, nel suo libro Napoli di ieri e di oggi, nel 1954.
La pizza era un cibo da strada. Dai forni in cui veniva cotta la pizza uscivano ragazzini con un particolare contenitore di rame rotondo in bilico sulla testa, la “stufa”, in cui le pizze venivano tenute in caldo, per essere vendute in giro con la formula “a ogge a otto”: cioè ne prendevi una oggi e la pagavi dopo otto giorni, quando ne avresti presa un'altra, che avresti pagato dopo altri otto giorni, spostando in là la spesa. In seguito, per poter mangiare la pizza calda e appena sfornata, nei forni furono sistemati dei tavoli: erano nate le prime pizzerie. I forni,con o senza tavoli, vendevano sempre la pizza “da asporto”: il passante se la faceva dare, la piegava in quattro, “a libretto”, e se la mangiava (foto sopra).
Ci sono oggi solo tre pizzerie a Napoli aperte nell’Ottocento e ancora in funzione: la più celebre è quella che fu di Raffaele Esposito e che, alla sua morte nel 1917, passò alla vedova Brandi. La pizzeria Brandi tutt’ora esiste, con una celebre targa esposta (foto sopra). Un’altra è la pizzeria di Port’Alba (foto sotto), la prima sorta a Napoli nel 1830, frequentata da personaggi come Gabriele D’Annunzio e Alessandro Dumas.
Si tratta in realtà di una semplice pasta cresciuta, allargata e fritta da consumare calda. È stata immortalata nel film L’oro di Napoli dove Sofia Loren (foto sotto) nel suo ”basso” frigge le pizze vendute “oggi a otto”. Come la pizza al forno “piegata a libretto” e mangiata, anche il calzone – che sia fritto (che pure viene chiamato pizza fritta) o sia al forno – ripieno di ricotta, mozzarella fior di latte, salame e cicoli (ciccioli), si consuma strada facendo.
Nessun cibo è forse identitario per i napoletani come la pizza. Nel giugno del 1984 viene fondata l’Associazione Verace Pizza Napoletana, con il patrocinio della Camera di Commercio di Napoli. Direttore è Antonio Pace di Ciro a Santa Brigida che, avvalendosi per la codificazione delle regole dell’aiuto e dell’esperienza dei vecchi maestri pizzaioli napoletani, decide di stendere le regole precise per la preparazione e la lavorazione delle pizze “veraci”. L’associazione arriva a contare circa 500 soci sparsi in tutto il mondo e nel 1997 stende il disciplinare STG – Specialità Tradizionale Garantita della Comunità Europea – con regolamento attuativo, per la difesa e la valorizzazione della pizza, prodotta e lavorata secondo le antiche tradizioni e usanze napoletane, che viene approvato dall’Unione Europea nel 2010:
Se volete cimentarvi, trovate come preparare la pizza a casa qui.
È Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità UNESCO dal 2003 con la seguente motivazione: il know–how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale.
La spinta al successo e alla diffusione della pizza avviene soprattutto nel secondo Dopoguerra, con l’arrivo dell’olio di semi portato dagli Americani che prese il posto dello strutto. Le truppe alleate di stanza in Italia scoprono la pizza insieme ad altre delizie italiane e se ne innamorano, cosa che spinge molti napoletani a emigrare negli USA in cerca di fortuna. Negli Stati Uniti la pizza ebbe tanto successo che gli americani si convinsero di averla inventata loro, al punto che nel maggio del 1991 la corte municipale di San Francisco stabilì una volta per tutte la paternità italiana della pizza, attorno al Mille Avanti Cristo con il nome latino di picea. La versione americana della pizza, anche se ha ascendenze napoletane, è completamente diversa per la grandezza, per il gran numero di improbabili ingredienti come “pepperoni”, ananas, (vedi foto sopra), etc.) e soprattutto di gusto.
Vi è venuta voglia di una pizza? Organizzate una serata pizza con gli amici!
Francesca Tagliabue
gennaio 2024