Pochi prodotti possono vantare un rapporto tanto stretto con il loro territorio quanto la salama da sugo con il Ferrarese. A suggellare questo vincolo c'è anche un motto nato dalla sua ricorrente presenza nei banchetti nuziali. Servirebbe infatti a "metar in tal sang di spus un poch ad murbin", ovvero a mettere nel sangue degli sposi un po' d'euforia. Quello ferrarese, diremmo oggi, è un salume identitario. Già nel 1761 il parroco di Tresigallo inseriva la privazione di "sì gustoso e delicato saluberrimo cibo" tra i castighi di Dio riservati agli ebrei. La ricetta descritta dal religioso era molto simile a quella in uso ancora oggi, con lingua o cuore di maiale tagliati finemente e una generosa quantità di vino. Secoli dopo lo scrittore Mario Soldati, un suo estimatore, la presentava agli italiani nel programma televisivo "Viaggio nella valle del Po", del 1957, mentre nel 1992 la descriveva nell'Agenda Gastronomica della Camera di Commercio di Ferrara, come "piatto unico, una sola cosa veramente buona", per poi qualificarla come "l'antenato dei cibi conservati, confezionati e bell'e conditi". Ciò nonostante si tratta tutt'ora di un prodotto abbastanza raro, confinato alla zona di origine o in qualche salumeria specializzata. Il suggerimento è quindi unire una visita alla bella città estense con il piacere di conoscere alcuni norcini che la producono. Tra questi vi sono Antonio e Lidia Giori che, a Copparo, realizzano la salama da sugo con la ricetta tramandata loro dal padre negli anni Settanta. "Gli ingredienti sono gli stessi di allora, il metodo di produzione pure", ci dicono. "In particolare continuiamo a non usare conservanti". L'assenza di additivi è proprio una delle costanti delle produzioni che abbiamo visitato. "Si fa un impasto con la goletta, la coppa, la pancetta, la spalla e la lingua. Aggiungiamo anche del fegato, ma in quantità limitate ché darebbe un retrogusto amarognolo". A non poter mancare, come il parroco di Tresigallo ben sapeva, è il vino. "Per ogni quintale di carne aggiungiamo 25 litri di vino da uve Cabernet e Merlot che, trascorsi uno o due anni di stagionatura, conferisce alla salama il suo aspetto bruno". Fondamentale infine è l'insacco in una vescica naturale. A descriverci la salama è anche Alberto Migliari che, a Portomaggiore, conduce la fattoria di famiglia insieme al fratello Roberto. "Al termine della stagionatura otteniamo un salume dal peso variabile tra i 700 grammi e 1,4 kg, con la forma simile a un melone, legato tutto intorno da uno spago che ne disegna gli spicchi", dice. A Corte Migliari i suini sono allevati nel recinto sino a raggiungere il peso di 240 kg. La produzione di salama da sugo arriva a 700 pezzi annui, grazie all'associazione tra tecnologie moderne, come laboratorio e sala di stagionatura automatizzati, e sapienza contadina. "La modalità di esecuzione che ci è stata tramandata oggi rientra nei parametri dell'Igp", specifica Alberto con orgoglio. Infine c'è Stefania Bertelli dell'agriturismo La Bozzola che ci porta anche in cucina. "Prima di essere cotta va spazzolata bene come si fa con un tartufo", spiega. Durante i mesi di stagionatura sulla superficie esterna affiorano infatti le muffe, segno di un buon grado di maturazione. Stefania, che insieme al marito Sergio Natali, alleva 60 suini alimentati con cereali autoprodotti, si dedica alla lavorazione delle carni da novembre a febbraio in base alle condizioni climatiche, e nell'impasto utilizza vino Sangiovese di Romagna senza solfiti aggiunti. La stagionatura avviene in una cantina priva di interventi elettronici di raffreddamento perciò alla Bozzola si seguono le bizzarrie del tempo come si faceva secoli fa. "Una volta pulita, la si mette dentro una pentola d'acqua avendo cura che non tocchi mai il fondo. Per questo motivo si deve appendere a un cucchiaio di legno posto di traverso sopra il tegame. Va lasciata sul fuoco per cinque, sei, anche sette ore", prosegue. In questo tempo il grasso delle sue carni, l'essenza residua del vino e le spezie trasudano rilasciando nella vescica quel "sugo" che le dà il nome. Una volta pronta, con gesti svelti Stefania incide la calotta superiore e scava con un cucchiaio nella polpa granulosa, fumante e profumata, dal bel colore rosso rubino. La serve nei piatti sopra un purè di patate. "L'ultimo fondamentale passaggio è irrorare polpa e purè con il suo sugo". Ora che i due figlioli, Pietro e Anna, si stanno innamorando del lavoro dei genitori vi è certezza che la salama da sugo vivrà a lungo. Per gustarla non serve altro che accomodarsi nella grande sala della Bozzola, dalle pareti coperte di fotografie in bianco e nero, e accompagnarla con un buon bicchiere di vino Sangiovese di Romagna, Lambrusco Emiliano o Fortana del Bosco Eliceo.