Significato gastronomico a parte, questi due termini fanno parte della nostra vita e del nostro lessico quotidiano, usati di frequente senza che ci si renda conto. Quasi mai vengono però citati in un’accezione positiva: se siamo arrabbiati, ci viene da dire che faremo “polpette di qualcuno”. I grandi pugili, notoriamente “riducono in polpette” l’avversario. La “polpetta avvelenata” può essere reale cibo velenoso ma anche sinonimo di una frase intenzionalmente cattiva. Nel dialetto toscano, polpetta vuole significare una sgridata, un forte rimprovero (in questo caso, polpettone) e soprattutto, nel comune parlare, chiamiamo ‘polpettone’ un’opera letteraria pesante e noiosa, un discorso troppo prolisso, un interminabile lungometraggio (magari muto e in bianco e nero) o un film farraginoso che non finisce mai.
Per fortuna che c’è la polpetta-polpetta, che certo non merita di essere trattata con disdegno: questa palletta ghiotta fin dall'antichità ricicla ogni avanzo di cibo, che sia carne, pesce (polpette di pesce si trovano nelle cucine di tutti i mari italiani), verdura, formaggio, uova, salumi, aromi, pane, riso… fritta, al forno, in umido o lessa: c’è un universo di polpette là fuori.
È probabile – come dichiara Mastro Martino da Como nel suo Libro de arte coquinaria del secolo XV – che l'etimo della polpetta sia da individuare nel tipo di carne anticamente privilegiata per questa pietanza: il taglio più tenero del vitello o del cervo, cioè la polpa. È così plausibile che l’italiano “polpetta” sia il diminutivo in -etta del latino pulpa che indica propriamente la carne senz'osso, la polpa appunto. Va detto che però la polpita o pulpeta di Mastro Martino era più simile a un involtino di carne, una fettina di carne lunga e sottile, condita, arrotolata e arrostita, somigliante ai moderni saltimbocca alla romana.
Solo nella metà del Seicento e l’inizio del Settecento, nei ricettari Lo Scalco alla Moderna di Antonio Latini (1692) e L’Economia del Cittadino in Villa di Vincenzo Tanara (1644), si inizia finalmente a leggere che le polpette hanno l’aspetto di palline di carne tritata, a fianco dei primi polpettoni. La polpetta come la conosciamo oggi è quella codificata da Pellegrino Artusi fin dalla I edizione de La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene (1891).
Qui appare come una preparazione posta tra gli umidi, e costituita da carne o lesso tritati con aggiunta di prosciutto, uova e aromi, che mescolati formano pallottole grandi come un uovo, impanate e fritte, passate infine in teglia con salsa. Una tecnica che lo stesso Artusi ritiene antichissima – “Non crediate che io abbia la pretensione d'insegnarvi a far le polpette” – tanto da affermare poco elegantemente, già nella prima edizione del libro, essere “un piatto che tutti lo sanno fare, cominciando dal ciuco…”. E il polpettone? “Signor polpettone venite avanti” scrive ancora l’Artusi, “voglio presentare anche voi ai miei lettori. Lo so che siete modesto e umile… ma fatevi coraggio e non dubitate che con qualche parola detta in vostro favore troverete qualcuno che vorrà assaggiarvi”.
Secondo Pellegrino Artusi, le polpette “si preparano da qualcuno con carne di lesso avanzato; se poi le voleste fare di carne cruda, non è necessario tanto condimento”: le ricette di queste ultime utilizzano spesso carni cosiddette di spolpo, cioè tagli di carne che un tempo erano destinati ai lessi. Le polpette e i polpettoni artusiani – ottenuti da un recupero di lessi o da carni fresche tritate – hanno un carattere popolare, una precisa identità familiare e regionale di riutilizzo delle carni avanzate, e rientrano nelle cotture in tegame tipiche della cucina di tradizione, dove vengono fritte e poi passate nel sugo (polpette al sugo).
In tutta la Penisola, il polpettone – forma allungata e dimensioni più grandi della polpetta – diventa un tipico piatto del lunedì, nato dagli avanzi del bollito o dell'arrosto della domenica. Alla carne, macinata, vengono aggiunti salame fresco o salsiccia e con l'aggiunta di pangrattato, uova, grana, aglio a piacere, prezzemolo, noce moscata, sale e pepe prende vita un ghiotto polpettone. Negli anni ’50 americani, il polpettone (meatloaf) era il piatto fisso delle famiglie, servito in tutti diner (tavole calde) degli Stati Uniti.
Ne “I Promessi Sposi”, quando Renzo andrà a cena in un’osteria con i suoi amici Tonio e Gervaso, l’oste prometterà “Vi porterò un piatto di polpette, che le simili non le avete mai mangiate. (…)” e puntualmente servirà ai tre un tegame con le “polpette summentovate che farebbero risuscitare un morto”.
Pare che alla domanda della madre sul perché di questa scelta di cibo, Alessandro Manzoni rispose ne aveva mangiate così tante da bambino che non volle privarne i protagonisti del suo romanzo.
Una velata critica? Certo è che a Gabriele D’Annunzio le polpette proprio non piacevano: ne “La concione contro la polpetta” racconta che da ragazzo, in collegio a Prato, capitanò una rivolta, novello Giamburrasca, per protestare contro il menu della mensa che prevedeva polpette ben quattro volte la settimana. D’Annunzio tollerava il “pallido polpettone” dell’amatissima cuoca Albina Lucarelli Becevello, ma delle “pallottole d’Abruzzo”, come il Vate chiamava le polpette, non voleva saperne.
E a sottolineare l’attrattiva della polpetta, nella mappa settecentesca Discritione del paese di Chucagna dove chi manco lavora più guadagna, ai vulcani di maccheroni e gnocchi si affiancano prati di torte e pasticci, fontane di malvasia e un succulento lago “di polpete e figatelli”.
Lo sapevate che il logo rotondo rosso, bianco e blu della NASA (foto sopra), disegnato nel 1959, è da allora affettuosamente chiamato “meatball”, polpetta?
Il trentatreesimo presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, aveva gusti semplici per quanto riguardava il cibo, e pare chiedesse – quando pranzava solo con sua moglie – al cuoco della Casa Bianca di preparargli… il polpettone.
Ma polpette e polpettoni non sono utopici, per fortuna, e hanno da tempo conquistato il mondo, in tutte le forme e le dimensioni: oltre alle italianissime polpette troviamo le köttbullar svedesi, le albondigas spagnole, le bitterballen olandesi, i keftedes greci, le frikadeller danesi, le tsukune giapponesi, le matzo balls ebraiche, le bò viên vietnamite, i skilpedjies sudafricani e köfte (foto sopra) e kofta, popolari dall'India fino al Medio Oriente. Per citarne solo alcune. Ogni ricetta ha la sua storia e il suo significato culturale unici. Su Sale&Pepe se ne trovano di gustosissimi, come trovate qui, per cominciare. Non mancano i consigli giusti e la ricetta base per fare polpette e polpettoni perfetti. Perché ci sono polpette per tutti i gusti!
Francesca Tagliabue
luglio 2024
Inquadratura da “Piovono polpette”, film d’animazione, courtesy of Sony Pictures Animation, 2009