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Piatti dai nomi (davvero) buffi

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Alcuni sembrano parolacce, altri sono spassosi, altri ancora decisamente imbarazzanti: ci sono preparazioni e prodotti tipici della gastronomia nostrana che si fanno notare per la particolarità del nome. Facciamoci due risate, senza dimenticare che, bizzarro appellativo a parte, sono tutti buonissimi

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Chi non si farebbe scappare una risatina o almeno una battuta nel trovare tra i dolci proposti in un rispettabilissimo menu siciliano i “minni di virgini” o le “tette delle monache”?  Sono svariati i piatti e i prodotti tipici della vastissima tradizione gastronomica italiana che vengono ancora chiamati come una volta, quando la denominazione (spesso rude) veniva dal dialetto popolare del territorio, con appellativi e termini che sconcertano l’odierno viaggiatore che li incontra per la prima volta.

Una pasta... anticlericale
Alcuni nomi sono ormai entrati, grazie alla loro diffusione in tutta la Penisola, nel lessico contemporaneo, anche se forse non tutti conoscono le origini del loro curioso appellativo: un esempio classico è la pasta di farina di grano tenero e acqua il cui nome allude alla particolare voracità attribuita alla classe ecclesiastica. Il piatto pare debba il particolare nomignolo alla speranza popolare che lo stesso vada di traverso al prelato di turno, ritenuto troppo avido: si tratta degli strozzapreti o strangolapreti, tipica pasta corta e ritorta emiliana (strozaprit in romagnolo, foto sotto), nata quando i preti requisivano le preziose uova ai contadini, che rimanevano con solo acqua e farina per impastare.

strozzapreti

Gli strozzapreti erano per tradizione un piatto della domenica o della festa, quando erano serviti conditi con il sugo dello stufato. Questa terminologia di pasta è presente in altre forme anche in Umbria (dove gli strangozzi sono tagliatelle corte e spesse, arrotolate su un ferro), in Toscana, specialmente in Maremma (torciglioni arrotolati a mano e serviti con un sugo di pomodoro fresco), in Abruzzo (cordoni di grano duro), in Puglia e Basilicata (corte strisce di pasta arrotolate su un ferretto), nel Lazio (spaghettoni). Li troviamo citati più volte nella letteratura romanesca, per esempio nei Sonetti del poeta laziale Giuseppe Gioachino Belli.

STRANGOLAPRETI TRENTINI

Nelle cucine trentina e milanese, invece, gli strangolapreti sono gnocchi di pane raffermo, spinaci, uova e grana trentino, serviti con burro fuso e salvia (foto sopra), con occasionalmente un’aggiunta di formaggio morbido. Sono gnocchi di acqua e farina anche gli strangulapriévete napoletani, che nella versione calabrese – come strangugliapreviti – contengono anche uova, mentre nel salentino - strangulaprevati - sono fatti con le patate.

REGINETTE

Per rimanere nell’ambito della pasta, le reginette (foto sopra), lunghe strisce di pasta piatte al centro e ondulate sui lati, sono così chiamate perché portano alla mente i merletti degli abiti di Margherita e Mafalda di Savoia. Per un abitante del Nord Italia, i bigoli (pasta fresca lunga) strappano un sorriso, visto che il termine viene usato per definire una persona sciocca. 

PUTTANESCA

Passando a un condimento assai famoso, arriviamo agli spaghetti alla puttanesca (foto sopra) cioè conditi con una semplice salsa rossa con olive, capperi e peperoncino, tipici della cucina partenopea; c’è una variante romana che prevede penne al posto degli spaghetti e l’aggiunta di acciughe nel sugo. L’origine di questo nome insolito non è certa, secondo alcuni fu ideata dall’oste di una trattoria che rifocillava gli avventori di una casa di facili costumi, secondo altri fu inventato da una prostituta francese, tale Yvette.

MINNI DI VIRGINI

Al femminile…
Nulla hanno a che vedere con suore e affini le uova alla monachina, piatto della tradizione napoletana e siciliana consumato tipicamente a Pasqua: alle uova sode viene aggiunta besciamella o ricotta, per poi impanarle e friggerle. Minne di vergine (letteralmente seni di vergine, foto sopra) è il nome di ben due dolci siciliani diversi: ci sono quelle catanesi, le più conosciute: ricotta su pan di Spagna coperta da candida glassa e decorata con una ciliegina candita, create in onore di Santa Agata martire. Le seconde sono tipiche dell’agrigentino, nella tradizione di Sambuca di Sicilia, sono invece un dolce di pasta frolla ripieno di crema, zuccata, scaglie di cioccolato, decorato con una pallina che, una volta cotto in forno, diventa più scura. Il nome di entrambe le versioni di minna di vergine deriverebbe da un’antica tradizione siciliana legata a culti femminili. Un’altra teoria meno diffusa li fa invece derivare dal nome della suora che li avrebbe inventati nel ‘700, Virginia della Menna.

ZIZZONA 2_PH_Popo le Chien

Simili alle minne, nella forma e nel nome bislacco, sono le pugliesi tette delle monache che, a onor del vero, hanno anche un nome più composto, sospiro della sposa o sospiro delle monache: si tratta di soffice pan di Spagna farcito con crema pasticcera o Chantilly. Storie simili anche per le zizze di monaca napoletane dal dialetto zinna, tetta, e le sise delle monache abruzzesi. Un accenno al seno femminile molto prosperoso nel nome e nella forma della campana zizzona (foto sopra), un enorme - anche 10 kg -  mozzarella di latte di bufala prodotta nella zona di Battipaglia (SA).

…e al maschile
Chi è che, rilassato in un agriturismo con cucina tradizionale in Umbria, non sobbalzerebbe a sentirsi proporre le palle del nonno come affettato? L’augusto progenitore può dormire sonni tranquilli: allo sconcertato viaggiatore è stato offerto un gustoso e locale salame di suino, con carne a grana media, che deve il nome a dir poco goliardico alla curiosa e tipica insaccatura a forma a nido d'ape (foto sotto).

PALLE DEL NONNO

A dir poco bizzarri anche i coglioni di mulo, il nome popolare della mortadella di Campotosto. Non si tratta delle pudenda del povero quadrupede, naturalmente, e neanche di una mortadella, ma di un salume tipico aquilano, diffuso anche nella fascia montana tra Umbria, Marche e Lazio, che rientra nei Presidi Slow Food dell’Abruzzo: fatto di solo suino macinato molto finemente, presenta una barra centrale di lardo, visibile a ogni fetta (foto sotto). Deve il nome sia alla forma ovale del salume finito sia al fatto che è legato a coppie, per poter essere stagionato a cavallo di un bastone, come su una sella di mulo, appunto.

Mortadella_di_Campotosto

Nella Riviera di Ponente da secoli si serve il brandacujun (foto sotto), piatto marittimo “cugino” della brandade provenzale: quest'ultima è a base di baccalà, mentre protagonista del brandacujun è lo stoccafisso che, una volta lessato con le patate, viene poi mantecato con olio, aglio, limone, prezzemolo e pinoli scuotendo (“brandare”, nel dialetto ligure) energicamente la padella. Se poi il marinaio in questione si chinava per meglio scuotere il grosso tegame, la vibrazione coinvolgeva anche… altro.

Stoccafisso Brandacujun

Altre curiosità
Non vanno dimenticati il cazzimperio: niente a che vedere con allusioni volgari, nella cucina romana è sinonimo di verdure in pinzimonio e deriva probabilmente dalla cazza, termine che indica un antico mestolo romano. Ci sono anche i cazzilli di patate palermitani, crocchette di patate profumate alla menta. Tra i formaggi, il bastardo del Grappa, fatto mischiando latte di vacca, pecora e capra, e il puzzone di Moena, la cui crosta viene bagnata con acqua e sale, trattamento che crea uno strato impermeabile per favorirne la fermentazione interna: da qui il gusto eccezionale e il tipico, forte odore che dà il nome al formaggio.

E all’estero?
Da menzionare la merda de can, una sorta di gnocchi di patate e bietole tipici nizzardi buonissimi, nonostante l’appellativo decisamente respingente. Divertente – oltre che molto gustoso – è Imam bayildi, una delizia a base di melanzane con pomodoro e peperoni, tipico della cucina mediorientale (foto sopra): il nome significa Imam svenuto, non si sa se per la bontà del piatto o per la sua avarizia, nell'aver visto usare tanto prezioso olio di oliva per cucinare!

 

Francesca Tagliabue
luglio 2023

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