Chiamato anche saba o sapa, il mosto cotto è un ingrediente molto particolare della tradizione gastronomica vinicola italiana. Presente tradizionalmente in alcune regioni e in alcuni specifici piatti, oggi sta scomparendo dalle dispense e dalle tavole
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Si tratta di uno sciroppo d'uva che si ottiene dal mosto (cioè il prodotto della pigiatura dell'uva appena vendemmiata) appena pronto di uve bianche - soprattutto Trebbiano - o rosse. Il succo d'uva appena prodotto viene immediatamente cotto, per evitare che l'elevato grado zuccherino inneschi la fermentazione, iniziando a trasformare gli zuccheri in alcol: il mosto cotto non è quindi una bevanda alcolica.
La cottura è lenta e prolungata e il mosto viene concentrato per ebollizione (da 6 a 10 ore circa) in un paiolo di rame: quando buona parte dell'acqua sarà evaporata, avremo il mosto cotto, uno sciroppo denso, dal leggero profumo di caramello con sentori di noce e uva, con un sapore fruttato, dolce e persistente. Indipendentemente dal colore dell’uva utlizzata, il mosto cotto avrà sempre un colore ambrato scuro. Il processo di lavorazione è difficoltoso, spesso la produzione è domestica o limitata alle piccole aziende.
Patrimonio della cultura contadina italiana Una pratica antica, quella dell’ebollizione del mosto d’uva, raccontata anche nei trattati di agronomia di Plinio il Vecchio - che ne parla diffusamente nel suo “Historia naturalis” - è citata anche nel “De Re Rustica” di Columella, il primo trattato di agronomia conosciuto e nella “Satira III” di Ludovico Ariosto. Apicio, nel suo De re coquinaria (nel 30 d.C), propone numerose ricette con il mosto cotto: con le verdure, il pesce, la carne. Bartolomeo Scappi, nella sua Opera (XVI secolo) lo propone "per fare morselletti, cioè mostaccioli" (foto sopra). Maestro Martino da Como chiama il mosto cotto sapa e Pellegrino Artusi (nel suo libro La Scienza in Cucina e L'Arte di Mangiar Bene) della sapa scrive "che altro non è se non un siroppo d'uva" e ne dà la ricetta. In tempi remoti, questa era un prodotto prezioso che nella cultura contadina rappresentava uno dei beni che la sposa portava in dote. Questo sciroppo viene usato soprattutto nella tradizione gastronomica di Emilia Romagna, Marche e Sardegna. Si può trovare, inoltre, anche in Abruzzo come in altre regioni.
In Emilia Romagna Questa regione ha richiesto l’Indicazione Geografica Protetta (Igp) per la “saba dell’Emilia Romagna”, con un futuro disciplinare che prevede solo uve bianche o nere provenienti da zone Igt, Doc o Docg e una precisa metodologia di preparazione. La saba, (sapa nell’area del cesenate e riminese) per la sua capacità di arricchire di gusto le pietanze è utilizzata come condimento con verdure brasate, carni arrosto e con tutti i formaggi stagionati, a fetta grossa o in scaglie; ottima con il Parmigiano Reggiano. Ma anche con gelati e dolci cremosi tipo panna cotta. A Modena il mosto cotto, principalmente ottenuto da uve Lambrusco e Trebbiano, è da sempre alla base della produzione dell'aceto balsamico tradizionale (foto sopra) quello cioè ottenuto esclusivamente dall'invecchiamento, a regola d'arte, del mosto cotto. Dolci tipici: in Romagna e aree limitrofe troviamo i sabadoni, biscotti morbidi ripien di frutta secca e castagne, bagnati con abbondante mosto cotto, e il savor, simile a una confettura a base di mosto cotto e con l'aggiunta di frutta secca, mele cotogne e spezie.
La sapa nelle Marche Veniva impiegata in sostituzione dello zucchero, nella preparazione di condimenti balsamici, per i dolci di Natale o Carnevale; per creare bibitedissetanti aggiungendola, all’acqua fresca del pozzo, o rustiche granite, ricoprendo la neve, dopo averla pressata bene in un bicchiere. Da sempre però la sapa costituisce il classico condimento della polenta (foto sopra) che una volta si versava bollente direttamente sulla spianatora: il mosto veniva posto in una cavità centrale e ogni commensale prendeva un cucchiaio di polenta e ve lo intingeva, da qui il termine vernacolare insapare, che significa inzuppare.
In tutta Italia Gustosissimi sono i sugoli, golosi budini di mosto in versione padana e, principalmente, veneta (foto sopra). Golosissimi budini a base di mosto cotto sono anche le mustate della Sicilia. I mostaccioli, biscotti morbidi natalizi presenti in buona parte del centro-sud Italia dove sono conosciuti con nomi diversi, sono impastati con mosto cotto, spesso con una glassatura di cioccolato, e si presentano di solito sotto forma di piccoli rombi (foto in alto).
In Puglia sono famose le cartellate (foto sopra) fritte e bagnate di mosto cotto, preparate per il periodo natalizio e, nella provincia di Foggia, i pupurati o peperati, biscotti a base di mosto cotto, cacao e frutta secca, forma di tarallo oppure di rombo, preparati tradizionalmente a novembre per la commemorazione dei defunti.
In Sardegna troviamo il Pan di Sapa, tradizionale biscottane morbido impastato con sapa (nome con cui è conosciuto il mosto cotto) e farcito con frutta secca e/o cacao (foto sopra). In Abruzzo, in particolare nella zona di Ortona, si preparano le nevole, cialde tonde ripiegate a forma di piccolo cono, profumate di mosto cotto e cannella. L'impasto viene cotto direttamente sul fuoco all'interno di uno speciale strumento, composto da due lastre di ferro con due lunghi manici. In Piemonte c’è la cugnà, una densa confettura a base di mosto cotto con frutta secca, nocciole, noci, scorzette di agrumi (foto sotto).
Cosa c’entra la mostarda? Fin dagli antichi Romani vi era un'esigenza pratica, quella di prolungare la vita della frutta fresca - rendendola disponibile anche al di là delle stagioni di maturazione - grazie alle proprietà conservanti dello zucchero e della senape. Il nome mostarda deriva dal francese moutarde (senape) che a sua volta risale al latino mustum ardens (mosto piccante), cioè mosto cotto con aggiunta di grani di senape ridotti in polvere, in cui si immergevano mele, pere, agrumi e altro per conservarli.