Le castagne, che provengono da diverse specie di grandi alberi del genere Castanea diffusi in Europa, Asia e Nord America, sono diverse dagli altri tipi di noci perché immagazzinano i nutrienti per la futura piantina sotto forma di amido e non di olio. Le castagne generalmente hanno quindi una consistenza farinosa. Fin dalla preistoria, sono state essiccate, macinate in farina e usate allo stesso modo dei cereali amidacei, per realizzare puree, pane, pasta, dolci e fornire sostanza a zuppe e minestre.
Il “pane” dei poveri
In passato, questo era il ruolo delle castagne: bassissimo costo e alta reperibilità, uniti a uno straordinario potere nutritivo, ne facevano un elemento essenziale di nutrimento sulle tavole più povere, sostituendosi perfino al già umile pane di segale. Prima dell'arrivo della patata e del mais dal Nuovo Mondo, le castagne erano un alimento di sussistenza essenziale nelle aree agricole montuose e marginali di Italia e Francia, zone ricche di maestosi castagneti. In queste semplici e piccole comunità montuose, delle castagne non si buttava niente: i semi – la castagna una volta eliminato il riccio – se buoni erano utilizzati in cucina, se guasti o troppo piccoli finivano nel pastone degli animali. I ricci venivano riseppelliti perché diventassero concime per gli alberi. Una volta sbucciati i semi, si facevano essiccare i gusci (detti anche bucce o scorze) e si usavano l’anno successivo per alimentare il fuoco e l’essiccatoio; le foglie erano una buona lettiera per il bestiame; infine, il legname, oltre a essere utile per il camino e per costruire attrezzi, forniva tannino per la conciatura delle pelli.
E i marroni?
Si tratta della migliore cultivar di castagni domestici: le caratteristiche dei marroni sono il seme, più grosso e tondeggiante, è sempre uno solo e non diviso in due da un setto di camicia; le dimensioni maggiori, che possono raggiungere i 30 g (contro i 12 g di una castagna ordinaria); la buccia è più rossiccia e mostra alcune striature, mentre nella castagna è di un colore marrone solido; la macchia bianca alla base, nel marrone è più rettangolare; il sapore dei marroni (foto sopra) è più dolce di quello delle castagne. I marroni sono ideali per la preparazione dei marron glacé e delle caldarroste, in quanto la camicia che ricopra il seme si elimina molto facilmente a mano. Famoso per la qualità eccelsa il Marrone di Caprese Michelangelo Dop, come pure il Marrone di San Zeno Dop, che cresce da secoli nella comunità montana del Monte Baldo, sul Garda. Tra le castagne, la sola con la Dop è Castagna di Vallerano Dop, nel Lazio, in provincia di Viterbo.
La cucina di tradizione
Naturalmente, le massaie di questi paesi e comunità si ingegnavano a produrre meravigliose e gustose ricette tradizionali, che purtroppo oggi sopravvivono per lo più nella cucina regionale.
Nell’Appennino parmense, anzi, in tutto l’Appennino emiliano-romagnolo, ogni giorno le massaie cuocevano nei testi (due padelline di ghisa piatte unite da una cerniera, con un manico) o nei testiccioli (semplici piatti di terracotta) la “pattona” (foto sopra) una specie di polenta fatta con una semplice pastella di acqua, sale e farina di castagne, da mangiare calda o fredda, preferibilmente con un companatico come salumi, lardo spalmato sopra, formaggi. Oggi la si prepara più o meno allo stesso modo (alcuni usano latte invece che acqua e aggiungono uvetta e pinoli), ma si versa la pastella in una teglia da forno unta d’olio, fino allo spessore di un centimetro e la si inforna a 180° per circa 45 minuti, finché si formano delle crepe sulla superficie.
Nella tradizione parmense, ci sono anche i tortelli di castagne, in due versioni: con un ripieno di castagne secche, mostarda e senape, oppure con un ripieno di marroni, ricotta, uova, parmigiano reggiano, noci, rosmarino. Sono entrambi conditi con del semplice burro e salvia o burro e formaggio, per non distrarre dal sapore del ripieno. Tipiche della Lunigiana sono le tagliatelle fatte con la farina di castagne (foto sopra) condite con un sugo di funghi, un omaggio al bosco. Gli gnocchi sono invece tipici di Pistoia e delle sue montagne, mentre in Lunigiana trovate le cosiddette lasagne bastarde, chiamate così perché la pasta mescola farina di grano a farina di castagne; si servono con sugo di noci e parmigiano reggiano. Ci sono poi i migliaccini, palline fatte con farina di castagne, acqua e poco olio nell’impasto che vengono fritte – sono ancora più buoni con un’aggiunta di uvetta e pinoli e qualche rametto di rosmarino a profumare l’olio di frittura.
Nel Pistoiese si gusta anche la zuppa di castagne, realizzata con castagne cotte e passate in purea, porri, brodo di gallina, talvolta funghi e aromi vari (nella foto sotto). Si serve in scodelle dove sul fondo sono state messe fette spesse di pane toscano “sciocco”, cioè senza sale, si guarnisce con qualche castagna lessata intera e un filo d’olio. In Lunigiana la zuppa di castagne, memore della necessità di fornire molte calorie ai lavoranti, mescola castagne secche con farro o fagioli.
La raccolta
Tra il 1700 e la Prima Guerra Mondiale, per chi viveva sugli Appennini, lontani dai campi e con le granaglie in esaurimento, le castagne fornirono un prodotto dal gradevole sapore e valido quanto il pane. Ridurle però in farina non era cosa semplice: le tecniche tradizionali contadine erano le stesse, che ci si trovasse sull’Appennino toscano o nel Valtellinese. L’essiccazione era uno dei modi per conservare i preziosi frutti: la raccolta iniziava in tardo autunno, con il clima più rigido, e continuava per due o tre settimane.
La lavorazione per la farina
Una volta raccolte, le castagne ancora con la buccia vengono portate in appositi, piccoli seccatoi in muratura, alti circa 3 mt(foto sopra) ai travetti del soffitto in passato erano fissati graticci, ora si usano reti metalliche. Sotto i graticci si tiene acceso giorno e notte un moderato fuoco di legno stagionato (di castagno, ovviamente) coperto con i gusci dell’anno prima, tenuto a bassa intensità perché produca fumo ma non troppo, se no le castagne prendono un sapore esageratamente affumicato. Una finestra in alto rimane aperta per far uscire il fumo, la porta rimane chiusa per non fare disperdere il calore. Il tempo dell’essiccatura dura circa tre settimane, e le castagne vanno mosse almeno un paio di volte con una pala durante questo tempo. Allargate sull’aia, vengono pestate per liberarle dalla buccia e dalla “camicia”; le migliori vengono separate da quelle rotte o piccole (che andranno agli animali) e vengono infine macinate a pietra: ecco una farina finissima, color nocciola, pronta all’uso. Attenzione, perché la farina di castagne si altera facilmente all’aria e alla luce.
Incredibile ma vero
Lo sapevate che la parola ballottaggio, inteso come votazione tra due scelte, risale all’Alto Medioevo e fa riferimento proprio alle castagne? Pare che i Priori di Firenze si radunassero dal 1282 per votare sulle decisioni importanti della Signoria, e usassero delle castagne in speciali sacchetti per contare i voti: in Toscana la castagna lessa era la “ballotta” e i Francesi utilizzarono il vocabolo per definire una votazione tra due contendenti od opzioni (ballottage). L’italiano poi riprese il termine e il suo nuovo significato.
Francesca Tagliabue
ottobre 2022