È un tipico piatto della tradizione contadina, maestra nell'antica arte del recupero.
Le origini
Si preparava in abbondanza una zuppa di verdure, da consumare anche nei giorni successivi, riscaldata e con l'aggiunta di pane raffermo. Per essere definita tale, perciò, la ribollita ha bisogno di un secondo passaggio (da cui il nome) il giorno dopo. Tutte le zuppe si giovano del riposo, ma in questo caso c'è chi giura che si compie un piccolo miracolo: messa di nuovo sul fuoco, bassissimo, nasce un piatto diverso, corposo e di sapore intenso, reso ancora più ghiotto dalla lievissima crosticina che si forma sul fondo.
I fondamentali
A caratterizzare la ribollita è il procedimento di cottura, più che un codificato insieme di ingredienti; le tante varianti sono proprie di un piatto di riciclo, ma alcuni ingredienti sono fondamentali. In primis il cavolo nero, squisitamente di stagione e saporito, soprattutto se temprato dalle gelate invernali e della varietà riccia conosciuta come "braschetta". Per non smentire il detto "fiorentin mangiafagioli", altro pilastro sono i cannellini o toscanelli, bianchi e dalla buccia tenera e sottile come un velo. Infine, il pane. Quello toscano, detto "sciocco" o "sciapo" perché senza sale, è l'imperioso protagonista della gastronomia regionale; basti pensare ai mille crostini, alla fettunta, alla panzanella, all'acquacotta, alla pappa al pomodoro, ma anche al cacciucco, che per essere gustato chiede il sostegno di fette tostate e strofinate d'aglio. Nel caso della ribollita, il pane toscano raffermo (vietato usare quello fresco) va disposto a strati e inzuppato con il mix di verdure, come per una torta farcita. A completamento, un giro "d'olio bono" e un ciuffo di pepolino (timo, per i non fiorentini).
Dal Cinquecento ai giorni nostri
L'esistenza di una preparazione a base di cavolo nero e pane è attestata da fonti che risalgono al Cinquecento, e sono in molti a ritenere che la ribollita ne sia una successiva versione arricchita, una sorta di post scriptum. Tre secoli dopo, nel celebre ricettario "L'arte di mangiar bene", Pellegrino Artusi, fiorentino d'adozione, descrive una "zuppa toscana di magro alla contadina" che prevede l'utilizzo anche di cotenna o prosciutto. Per trovare il termine "ribollita", invece, si arriva al 1910, quando Alberto Cougnet nel monumentale trattato "L'arte cucinaria in Italia" scrive: "dicesi ribollita una zuppa di fagioli con pane e pasta che facendosi per 2 o 3 giorni la si fa riscaldare ogni volta che occorre".
Paola Mancuso
gennaio 2023