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Indovina, indovinello: cosa c’è nel limoncello?

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Quello tradizionale prende aroma e colore dalle scorze di limone. Ma in molti casi si usano aromi o coloranti

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Se chiedete a un italiano con cosa è fatto il limoncello, quasi sicuramente risponderà che si parte dalle scorze dei limoni, meglio se tipici di Sorrento o Amalfi. Ma, in realtà, non è sempre così. E non solo perché possono essere usati altre tipologie di limoni ma anche, e soprattutto, perché spesso in questo liquore tradizionali di scorze di limoni non c’è traccia perché si usano solo aromi di limone. Vediamo di scoprirne di più.

Un liquore nato al sud che ha conquistato il nord
Il limoncello è nato a fine ottocento in ambito domestico (infatti, in origine, era noto come “rosolio al limone”), a partire dalle scorze dei limoni freschi locali messe in infusione in alcol. Per la precisione si usa la flavedo, ossia la parte più superficiale della buccia di limone e la più ricca di oli essenziali, che li “cede” poi all’alcol in cui viene immersa. A questo infuso si aggiungeva poi una quantità di zucchero. Tutto qui.
In poco più di 100 anni questo liquore tonificante e rinfrescante è diventato un “bene” nazionale: oggi lo si gusta in tutta Italia (e ad amarlo sono soprattutto le donne) e quello venduto nella distribuzione moderna viene acquistato soprattutto nelle regioni settentrionali.
Ma il limoncello è anche un grande ambasciatore dell’Italia nel mondo: è uno dei liquori italiani più esportati nonché uno dei souvenir gastronomici più amati dai turisti stranieri che visitano il nostro paese, tant’è che è uno dei prodotti più acquistati nei duty free degli aeroporti. Ma cosa c’è nelle belle bottiglie di limoncello (spesso satinate, per suscitare un maggior senso di freschezza)?

Limoncello: occhio all’etichetta
Per andare sul sicuro si possono scegliere i due “limoncelli” (ma in realtà non si chiamano così, bensì “liquore di limoni”) che devono essere prodotti con scorze di limoni Igp e in quantità prestabilite, e senza aggiunta di additivi, ad esclusione dell’acido ascorbico (E 300), ossia della vitamina C.
In commercio si trovano due tipi di limoncello: quelli ottenuti per infusione alcolica della flavedo e quelli in cui il gusto e il profumo del limone sono dati da estratti o da aromi (naturali o sintetici). Un dualismo consentito dal fatto che manca una legge che stabilisca i requisiti del limoncello. Quindi ogni produttore è libero di adottare la sua “ricetta”, scegliendo quali e quanti ingredienti usare. E basta confrontare le etichette di diverse marche per verificarlo.
Gli ingredienti tipici del limoncello sono quattro: scorze di limone, alcol, zucchero e acqua. Ma ogni produttore può usarli in quantità molto diverse: infatti in alcuni liquori il primo ingrediente nell’elenco obbligatorio sull’etichetta è l’acqua, in altri lo zucchero, in altri l’alcol.
Quanto alle scorze dei limoni calcolare quante sono state usate non è sempre facile perché ci sono produttori che non indicano quanto sono presenti in percentuale nel limoncello ma quanto lo sono nell’infuso alcolico usato come base per il limoncello (anche solo in misura del 10%). Facciamo un esempio: un conto è aver usato le bucce di 250 grammi di limoni per ogni litro di limoncello; un altro contenere una percentuale non precisata di infuso alcolico ottenuto da 1.500 grammi di limoni per litro (ma di infuso e non di limoncello).

Come riconoscere la qualità
Oltre a verificare quanti e quali ingredienti sono presenti nel limoncello, per verificarne la qualità si può cercare anche quello che non è stato usato. Ossia additivi, come coloranti (ad esempio la tartrazina, codice E102) o aromi (anche naturali), che consentono di produrre in modo più veloce e di ottenere un risultato standard, evitando gli eventuali problemi legati alla stagionalità del limone. Questi additivi servono anche per caratterizzare il colore, il profumo e il gusto del liquore.
Spesso questo conferisce al limoncello un sapore molto accentuato, quasi artificiale: per verificarlo basta gustarlo a temperatura ambiente perché il freddo “anestetizza” le papille gustative, impedendo di riconoscere la qualità di ogni alimento, limoncello compreso.
Altro indice (inaspettato) di qualità: se sul collo della bottiglia di vetro compare una traccia oleosa non è un difetto, anzi. È un segnale della genuinità di questo liquore perché è data dalla presenza di oli essenziali di limone.
Per andare sul sicuro si possono scegliere i due “limoncelli” (ma in realtà non si chiamano così, bensì “liquore di limoni”) che devono essere prodotti con scorze di limoni Igp e in quantità prestabilite, e senza aggiunta di additivi, ad esclusione dell’acido ascorbico (E 300), ossia della vitamina C.

I due liquori di limoni Igp
Il primo è il Liquore di Limone di Sorrento Igp: se c’è scritto sull’etichetta significa che è stato ottenuto con almeno 250 grammi di scorze di limoni di Sorrento Igp (i famosi “ovali”, dalla bassa acidità e dal profumo molto intenso) per litro. Ma ci sono etichette (come Limoncetta) che ne usano almeno 300 grammi per litro. Le scorze fresche vengono fatte macerare in alcol etilico di origine in modo da ricavarne gli olii essenziali. Dopo almeno 72 ore di macerazione, le scorze vengono eliminate e l’infuso viene prima filtrato e poi miscelato con acqua e zucchero. Dopo una nuova filtrazione è pronto per essere imbottigliato. 
Stesso processo produttivo tradizionale anche per il secondo “limoncello” realizzato secondo un disciplinare preciso: il Liquore di Limone della Costa d’Amalfi Igp. Lo si ottiene solo dalla macerazione a freddo, in alcol etilico e per almeno 36 ore, delle scorze provenienti esclusivamente dai limoni della varietà sfusato amalfitano  che si fregiano della Igp Limone Costa d’Amalfi. Per ogni litro di liquore devono venire usati almeno 250 grammi di limoni interi e da 200 a 350 grammi di zucchero.   

Manuela Soressi
giugno 2023

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