Quando si dice sushi, l’associazione d’idee spontanea è: pesce crudo! E se invece fosse veg? La suggestione non è - forse - immediata, ma la cucina giapponese, così come tutte quelle asiatiche, ha forti legami con il mondo vegetale. Basta pensare alle alghe e al tofu, al cetriolo, agli edamame (i fagioli verdi di soia) e al daikon. Ma anche, nelle declinazioni più “occidentalizzate”, all’avocado che farcisce hosomaki e uramaki, due dei sushi più conosciuti (rispettivamente, con alga o riso esterno).
Sushi tradizionali
Certo, fino a oggi le proposte green si dovevano cercare nei menu un po’ con il lanternino fra toro (ventresca), ikura e tobiko (uova di pesce), hotate (capasanta) e altre specialità ittiche. Cui negli ultimi anni fa concorrenza la wagyu, la pregiatissima carne di manzo usata per avvolgere il riso dei gunkan o coprire i nigiri. Sono comunque nella tradizione jap versioni senza carne né pesce. Si chiama tamago il sushi (maki, nigiri o gunkan, cono) vegetariano di frittata, insaporita con soia e mirin (vino di riso) e cucinata nella tipica padella quadrata. Vegano è invece l’inari in cui la polpettina di riso sushi è racchiusa in una “tasca” di tofu fritto.
Ricette contemporanee, anche a domicilio
I ristoranti giapponesi moderni raccolgono la sfida cruelty free e, complice la grande abilità orientale nel lavorare verdure e frutta, propongono creazioni originali e bellissime. È il caso di Armonico, nato a Milano nel 2020 come fine delivery, che lo scorso anno ha aperto anche il minuscolo, ma accogliente, ristorante gourmet. Il menu si gusta accomodati al bancone davanti ai sushimen e, a sorpresa, anche a una sushiwoman, Chiara, che preparano al momento specialità come il Verdissimo (nella foto in basso) con sfoglia di cetriolo e tartare di avocado, il roll di riso nero con alga nori, funghi e cipollotto, l’hosomaki kanpyo con zucca marinata o il Giallo e Bello con foglia di soia, ripieno al mango e cracker di riso croccante. Quelli citati fanno parte di oltre 25 referenze veg. Che si possono innaffiare, magari, con una bottiglia selezionata dalla saketeca: da provare, Harmoniæ, il sake made in Italy con il 60% di Carnaroli.
A domicilio, ma nella Capitale, la divertente formula DIY (do it yourself, fai da te) di Your Sushi, grazie alla quale cliente può scegliere il rivestimento esterno tra sesamo, alga nori o carta di riso, il tipo di riso tra bianco sushi, nero Venere o integrale, tre ingredienti principali tra ravanello giapponese, cetriolo, goma (insalata) wakame, lattuga, avocado, pomodoro, zenzero, mango, mela, erba cipollina, carote, tofu, fagiolini e una salsa tra Philadelphia, maionese giapponese, teriyaki, al sesamo, Tabasco e wasabi e guacamole.
Delivery e take away (con 5 piccole sedute al micro bancone) per un’altra recentissima apertura milanese, Essenza Sushi. Qui la scelta è di usare proteine da legumi, frutta secca, tofu e tempeh (alimento a base di soia gialla fermentata), tutto certificato gluten free e con una grande attenzione per la stagionalità e la sostenibilità ambientale: le materie prime sono il più possibile chilometro zero e cambiano a rotazione; packaging delle box (nella foto in basso) e drink sono plastic free. Aperta da un team di soci vegani, oltre al già citato inari propongono sushi dalla forte impronta creativa. Tra gli ingredienti, hummus di ceci, cavolo fermentato, patata dolce fritta, ricotta di macadamia e una selezione di maki & co. in una inedita versione dolce, con l’idea di sostituire il classico cabaret di pasticcini con “sushini” a base di frutta e creme.
Plant based
L’evoluzione in atto nella cucina veggie tende a ricreare l’esperienza tradizionale nell’aspetto e, soprattutto, nella texture dei cibi. Lo fa - anche - sostituendo gli elementi di origine animale non, semplicemente, con ortaggi e frutta ma con i cosiddetti plant based, ingredienti a base vegetale. Il risultato sono preparazioni belle per gli occhi, buone sotto i denti e, naturalmente, al palato. Con questa logica ha sperimentato la cucina giapponese Planted, azienda svizzera, con una rappresentanza italiana in grande crescita, che produce “carne” vegana a partire da proteine e fibre di piselli. La proposta è stata un onigiri, la grossa polpetta di riso farcita disegnata in tanti cartoni e manga giapponesi, con un cuore di pulled (sfilacci) con aglio, zenzero, sake, mirin, salsa di soia e dragoncello, rifinita da una salsa di prugne umeboshi.
Punta moltissimo sull’estetica l’offerta di Nori Way, altra recentissima apertura milanese che conferma il capoluogo lombardo all’avanguardia nell’anticipare le tendenze del gusto. Il format, esclusivamente serale, è “ospitato” all’interno di uno dei bistrot Radicetonda (quello in Porta Romana), insegne di riferimento per la comunità veggie cittadina. La cucina è affidata allo chef tibetano Tenzin Jigme che riproduce fedelmente l’aspetto dei sushi tradizionali con “salmone”, “tonno” e “gamberi”(nella foto di apertura e in basso), lavorati a base di fecole e tapioca, ma resta fedele ai gusti tipici jap grazie a salse, marinature, fermentazioni.
Tecniche, condimenti e ricette uniscono ingredienti vegetali comuni, anche mediterranei, come carote, melanzane e olive, ad altri tipicamente asiatici, come i funghi shiitake e le foglie di shiso (il cosiddetto “basilico giapponese”). Dando ulteriore significato all’espressione di cucina fusion: non più solo mescolanza di tradizioni gastronomiche di paesi diversi, oggi la contaminazione è fra tendenze e stili alimentari, riesce a scardinare i luoghi comuni e a rendere persino il sushi cruelty free.
Francesca Romana Mezzadri
Febbraio 2023