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Il nuovo baccalà è gourmet

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Il merluzzo nordico sotto sale si trasforma: da ingrediente della cucina popolare diventa prelibatezza per palati fini, con i consigli di due chef

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Dal Veneto alla Toscana, dalla Liguria alla Sicilia, passando per Roma e Napoli, il baccalà è un ingrediente assai comune nelle case degli italiani, con una ricca storia di ricette popolari e gustose. Il merluzzo nordico conservato sotto sale (da non confondere con il “cugino” norvegese essiccato, lo stoccafisso) è protagonista sulle tavole casalinghe come tra i mangiari di strada. E, negli ultimi anni, anche del fine dining che lo ha eletto a prodotto di punta di una cucina di mare elegante e mai scontata.

roberto di pinto

Dal mercato al ristorante
“A Napoli si infarina, si frigge ed è immancabile a Natale, insieme all’insalata di rinforzo”. Ce lo racconta Roberto Di Pinto, chef partenopeo che a Milano, nel ristorante Sine, propone la sua cucina “gastrocratica” dove a dettare legge è la materia prima, interpretata come da tradizione campana e mediterranea o rivisitata in modo rispettoso. Non fa eccezione il suo approccio al baccalà, ingrediente che ha nel sangue: “Mio nonno era un baccalaiuolo, un venditore di baccalà al mercato. Da lui ho imparato che il migliore è quello dissalato in più acque”. Una tecnica più gentile, sebbene più lunga del lavaggio sotto l’acqua corrente: occorrono una decina di giorni di ammollo, contro i 2-3 sufficienti se il baccalà è lasciato in vasche in cui l’acqua scorre di continuo, con in più un vantaggio in termini di sostenibilità.

Longino-Giraldo baccala sotto sale

L’importanza di dissalare bene
Quel che accade al pesce trattato con il metodo dolce del riposo in acqua ce lo raccontano gli spagnoli di Giraldo, distribuiti in Italia da Longino, che lavorano baccalà proveniente da merluzzi pescati e salati in Islanda e alle isole Fær Øer: “Il pesce è tagliato in parti uniformi, che garantiscono una dissalatura omogenea. Con l’ammollo in acqua e ghiaccio non si disperde la gelatina del pesce, l’allumina che compone la sua parte grassa e ne determina il pregio organolettico. Grazie alla bassa temperatura, la carica batterica rimane immutata e permette di non aggiungere additivi di conservazione. Quando il pesce “riemerge” è impregnato d’acqua, quindi viene fatto sgocciolare per almeno 24 ore in frigorifero. Così, alla fine, un chilo di baccalà corrisponde effettivamente a... un chilo di baccalà”. Non troppo salato, non troppo insipido, non troppo bagnato, il baccalà così trattato fa quasi concorrenza alla carne per consistenza, gareggia in gusto con le migliori specialità ittiche e diventa ingrediente perfetto per la cucina gourmet.

Giraldo-Sine-Di Pinto pizza fritta

Crudi da chef
La prima regola è di usarlo “fresco”, ovvero nel giro di 2,3 giorni dalla dissalatura, proprio come si fa con il pesce appena pescato. Poi, non ci sono limiti alle preparazioni, come spiega Di Pinto: “È buonissimo crudo, sia in carpaccio che in tartare”. Una lamina sottile guarnisce la crema di pane e pomodoro (rivisitazione del classico salmorejo) dello chef spagnolo Andoni Arrieta. Di Pinto lo aggiunge a fettine fini sulla pizza fritta al nero di seppia (nella foto in alto), uno dei suoi signature dish, o in dadolata sulla mescafrancesca, la pasta mista e fagioli tipica napoletana.

BIGNE CRAQUELIN BACCALA

Finger food dal cuore cremoso
La proposta del cuoco partenopeo per uno stuzzichino invitante sono i bignè craquelin leggermente dolci farciti di baccalà mantecato (nella foto in alto): “Faccio bollire un chilo di baccalà con 250 g di patate per 30 minuti in un court bouillon con pepe e alloro. Scolo e lavoro nell’impastatrice con olio a filo, fino a ottenere una crema soffice”. Per recuperare sapidità, il tocco in più è il caviale: “Non meno di 5 grammi a bignè!”, sottolinea Di Pinto. Che aggiunge le note agrumate dei limoni canditi, di cui abbiamo “rubato” la ricetta: “Sono limoni di Sorrento fatti riposare un giorno con sale zucchero in parti uguali, poi sbollentanti tre volte in un litro d’acqua con un chilo di zucchero cui aggiungo, a ogni passaggio, prima 100, poi 200, infine 300 g di sale. Termino con un riposo dei limoni, sottovuoto, con l’acqua dell’ultima sbianchitura”. Un procedimento complesso (“Ma la cucina è attesa”, chiosa lo chef) che a casa si può semplificare spalmando il mantecato su piccoli canapè da completare con caviale e scorzette grattugiate.

trippe di baccalà

Cotture veloci o più lunghe?
Ai fornelli, la regola dello chef è una soltanto: “Il segreto è cuocerlo poco, massimo 5 minuti, altrimenti diventa stopposo. Nessun limite alle cotture: poché, per immersione in un liquido, ottimo al pomodoro, a vapore, in padella”. La tecnica più semplice prevede di metterlo in pentola a freddo, coperto d’acqua, portare a bollore, spegnere, far riposare ancora qualche istante e scolare. Fanno eccezione le parti del cosiddetto “quinto quarto” come le trippe, con cui lo spagnolo Arrieta prepara una zuppa di funghi e ortaggi (nella foto in alto). Dopo essere state spellate e lavate, si stufano lentamente per almeno mezz’ora, necessaria per intenerirle e per valorizzare il collagene, che contengono in abbondanza e che regala una texture particolarissima, quasi “collosa” e apprezzata dai gourmand.

Longino-Giraldo baccala dissalato

Due ricette da ristorante, a casa
Basta poco per valorizzare la polpa soda del baccalà, ispirandosi a piatti tipici o studiando accostamenti inediti. Pesca dalla tradizione la ricetta di Di Pinto all’acqua pazza (nella foto di apertura). Il baccalà è cotto al vapore e impiattato su un’insalata di cannolicchi con una salsa di ostrica e prezzemolo (un mazzo sbollentato in acqua salata, raffreddato, frullato con un’ostrica, la sua acqua, 100 ml di acqua fredda e passato al setaccio). Chiude il piatto l’acqua pazza preparata facendo sobbollire (e poi filtrando) 200 g di pomodori del piennolo, 500 ml di acqua di mare 500 ml, un cipollotto, uno spicchio d’aglio, un mazzetto di basilico, uno di prezzemolo, 30 m di olio extravergine d’oliva e 100 ml vino bianco. Più creativo, e facile da rifare a casa, il baccalà al vapore di tè nero, “giusto un pizzico, non quanto se ne userebbe per una tazza”, precisa Di Pinto, che aggiunge all’acqua anche tante scorze di limone. Basta un filo d’olio e un tocco croccante (lui usa un crumble di quinoa soffiata) per servire una piccola, perfetta delizia.

Longino-Giraldo pelli di baccala

Una salsa inaspettata
Per finire, una ricetta che stupisce perché utilizza una parte di scarto, ovvero le pelli, con cui Di Pinto fa una maionese senza uova: “In una padella larga, si mettono 100 g di pelle con 25 g di olio extravergine d’oliva e si fa andare a fiamma dolce, roteando continuamente la padella con un lavoro di polso per far fuoriuscire il collagene che sale in superficie e si allarga in macchioline bianche via via più estese. A questo punto, si scola il tutto passandolo al colino e raccogliendo il ricavato nel bicchiere del frullatore, dove si monta come una maionese aggiungendo 120 g di olio di semi di girasole e insaporendo a piacere con sale e succo di limone”. Perfetto esempio di come la tecnica sappia recuperare e nobilitare quel che altrimenti si getterebbe. L’ispirazione è il pil pil, ricetta basca che cuoce il baccalà in olio a bassa temperatura e, con la gelatina rilasciata, addensa la salsa di accompagnamento, profumata di aglio e resa piccante dal peperoncino. Piatto nato alla fine dell’Ottocento, ma che si adatta con spontaneità alla cucina contemporanea.

Francesca Romana Mezzadri
Giugno 2021

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