Dall’orto alla tavola: una ricetta “povera” di cucina contadina che grazie all’ingegnosità delle rezdore emiliane è oggi un piatto gustosissimo di semplice realizzazione, ideale per il desco di primavera e le gite fuori porta
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Nome in dialetto (reggiano): scarpazoun, scarpazzone, pare originato dal termine scarpa, con cui si definivano le coste bianche e dure delle foglie delle bietole. Parliamo dell’erbazzone, famosa specialità di Reggio Emilia che in loco consumano anche a colazione: una golosa torta salata di bietole (o spinaci) dalle origini umili, piatto della cucina contadina di “sopravvivenza “che in tempi di magra si rivolgeva ai campi e all’orto. Il nome dialettale negli anni si è italianizzato in erbazzone.
Erbazzone secondo tradizione
Un guscio di pasta matta non lievitata detta foieda (ottenuta dalla lavorazione di farina, il 15-20% di strutto, acqua o latte e sale) che racchiude un goloso ripieno a base di bietole e/o spinaci lessati con scalogno e cipolla e mescolati a una “pistadèina” di lardo, aglio, prezzemolo e sale, tritati a coltello fino a ottenere una cremina. Si tiene da parte un cucchiaio di questo mix per dare maggior sapore alla pasta. Tradizionalmente, l’erbazzone viene cotto in una teglia rettangolare e servito, caldo, tiepido o a temperatura ambiente, a fette quadrate.
Come per tutti i piatti di recupero della nostra cucina, la ricetta dell’erbazzone reggiano tradizionale – sebbene più o meno codificata – può variare da famiglia a famiglia: alcune ricette alle erbe lessate aggiungono cipollotto o cicoria dentellata – quel che passava l’orto di casa. Altre varianti non lessano le verdure ma le soffriggono in padella per mantenerne il gusto. Non manca ovviamente abbondante Parmigiano Reggiano. Nelle versioni più ricche, al ripieno si aggiungono lardo di prosciutto o pancetta tritati.
In versione evoluta
Variazioni recenti vedono la classica torta d'erbi reggiana realizzata con pasta sfoglia o pasta brisée al posto della pasta matta delle origini (assai meno costosa) e talvolta aggiungono ricotta fresca o uova al ripieno.
Erbazzone montanaro…
Un caso a parte è l’erbazzone di montagna: le giovani donne dell’Appennino Emiliano scendevano a valle a fare le mondine nella stagione del riso, e ne portavano a casa in montagna come parte del loro salario. Nasce così la versione appenninica dell’erbazzone, che vista la scarsità della farina sopperisce ai carboidrati unendo al ripieno riso, ben lessato nel latte. Il ripieno con il riso veniva cotto, nel forno del pane o sulla brace, direttamente in un'ampia padella di ferro o in una teglia a bordo basso, di ferro o di rame, chiamata “al sol”.
… e della Bassa Reggiana
Questa versione dell’erbazzone, chiamata scarpasôt, differisce da quella tradizionale solo perché utilizza la pasta solo come guscio inferiore.
Chizze fritte
Sono squisiti ravioloni fritti, tipici di Reggio Emilia, che utilizzano gli stessi impasto e ripieno tradizionale dell’erbazzone. La pasta viene poi stesa sottilissima (2-3 mm di spessore) e da questa si ricavano tanti dischi di circa 12 cm. Il ripieno viene suddiviso nei dischetti, che vengono poi piegati a metà e i bordi sigillati. Le chizze (foto sotto) vengono poi fritte in olio bollente, poche per volta, e infine sgocciolate su carta assorbente. Si mangiano ben calde.
Qualche consiglio per fare un ottimo erbazzone
Una volta fatta la pasta, datele forma di palla e lasciatela riposare in una terrina coperta per almeno 30 minuti: riuscirete a tirare un sfoglia davvero sottile.
Per averne una versione senza grassi animali, utilizzate solo le verdure senza formaggi e usate olio d’oliva al posto dello strutto.
Il guscio di pasta - matta, sfoglia o brisée che sia - va sempre bucherellato prima della cottura.
Perché la superficie abbia un bell’aspetto dorato, spennellatela con poco strutto (od olio) prima di infornare.
Se vi piace, invece di coprire interamente la torta, potete formare una grata con strisce di pasta, come in una crostata.
Potete congelare l’erbazzone sia cotto, sia crudo.