Quando si va a toccare un piatto della tradizione italiana, il popolo dei gourmand si divide fra negazionisti e possibilisti. Non fa eccezione la cotoletta alla milanese che può contare su schiere di difensori della ricetta codificata e su altrettanti strenui sostenitori delle variazioni sul tema.
La ricetta codificata
La cotoletta, per i puristi costoletta alla milanese si fregia della De.Co., la Denominazione comunale assegnata ai piatti tipici. La ricetta codificata stabilisce che il punto di partenza sia una costoletta di vitello con l’osso, spessa quanto quest’ultimo. Dopo un passaggio nelle uova (in genere senza farina) la panatura prevede pane grattugiato grossolano, appena preparato con pane secco che per molti dovrebbe essere michetta, il tradizionale panino milanese. La frittura avviene nel burro, meglio se chiarificato, più stabile alle alte temperature.
Varianti consentite
Poche le variazioni ammesse in città come quella che, al posto del pangrattato, utilizza grissini sbriciolati. È consentito che la cotoletta sia senza osso e la versione larga e bassa, detta orecchia d’elefante, è ormai servita in molti ristoranti tipici. Del resto quest’ultima pare essere nata negli anni Sessanta al ristorante Alfredo al Gran San Bernardo: fu il patron Alfredo Valli a decidere di assottigliare la carne, per velocizzare la cottura e accontentare i milanesi in pausa pranzo, già allora con i minuti contati. La guarnizione con rucola e pomodorini, accreditata dagli anni Ottanta, è ancora oggi invisa ai tanti che l’accusano di rendere molle la crosta croccante, così come fa la spruzzata di limone. Tra le ricette di altre regioni ci sono la valdostana, farcita con prosciutto cotto e fontina, e la bolognese, guarnita con crudo e parmigiano e ripassata in padella con un filo di brodo: addio croccantezza ma viva il sapore!
La sfida: la cotoletta di maiale
A dispetto degli ortodossi, in molti locali – come nelle case dei milanesi - si friggono con disinvoltura cotolette di maiale, di pollo, di tacchino, di agnello e persino di verdura. Particolarmente apprezzata dal mondo veg quella di sedano rapa che, come molte altre versioni, sceglie di usare l’olio al posto del burro. Nessuno però, in città, aveva mai “osato” issare una variante a propria bandiera. Lo hanno fatto i ragazzi di Anche, tre locali (di cui uno con micropanificio) e un delivery che porta in tutta Italia e nel mondo la loro Cotoletta Sbagliata di lonza di suino. “Il nostro macellaio”, racconta il titolare Matteo Stefani, “un giorno ci chiamò: ‘Ho troppe braciole di maiale, mi aiutate a finirle?’ Gli domandai cosa potessi fare di tutte quelle braciole e mi rispose: cotolette! Ma come, considerai un po’ stranito, un milanese che mi propone di fare la cotoletta di maiale, invece che di vitello? E lui, pronto: ‘Chiamala sbagliata, allora!’ Così è stato”. La battuta, e la successiva scelta di seguire il consiglio del macellaio, rendevano omaggio a un altro grande classico milanese, il Negroni Sbagliato ideato al Bar Basso, icona degli aperitivi meneghini. Oggi, la Sbagliata sta diventando rapidamente un classico contemporaneo. Impanata nel panko giapponese, è declinata in diverse ricette: con scaglie di mandorle e scorzette d’arancia, con pistacchio e lime, alla pizzaiola con pomodoro e mozzarella e, in versione green, preparata con melanzane, noci e limone. Bonus track: tutte le cotolette sono proposte anche gluten free.
La cotoletta alla milanese è una tecnica
Del resto, come molte ricette della tradizione, anche quella della cotoletta corrisponde a una tecnica che i cuochi professionali interpretano secondo il loro estro. Indimenticabile la “destrutturazione” di Gualtiero Marchesi (nella foto): per evitare che al taglio i succhi della carne bagnassero la panatura, ridusse la costoletta in cubotti, panati e fritti insieme al loro osso, che invitava a farsi sgranocchiare. Oggi, è celebre la versione doppia di Chicco Cerea, tre stelle Michelin nel ristorante Da Vittorio a Brusaporto (BG): un’orecchia di elefante (letteralmente visto il peso: 2,5 chili!) di fassona piemontese cucinata per due persone, esclusivamente su prenotazione. Mantiene la tecnica e cambia decisamente ingrediente di base lo svizzero Andreas Caminada, anche lui tristellato, che partendo da una tondeggiante cimetta intera compone il suo Cavolfiore impanato alla milanese con finocchio e salsa olandese. A riprova che, anche nella cucina internazionale, si parla “alla milanese”.
Francesca Romana Mezzadri
marzo 2022
Foto di copertina e del locale Anche