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Classico Carnaroli, re dei risi e principe dei risotti

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Appartenente alla classe dei risi “superfini”, è il più pregiato tra i risi italiani. Le caratteristiche del chicco lo rendono ideale per risotti, ma è l’attenzione alla sua lavorazione che ne fa un prodotto di vera eccellenza. Impariamo a conoscere il vero Carnaroli e incontriamo chi lo coltiva con passione

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Le origini e l’areale di coltivazione
Non sono così antiche come si potrebbe pensare: nato nel 1945 grazie all’incrocio di due varietà, il Vialone e il Lencino, coltivate fin dall’Ottocento, il Carnaroli pare debba la sua denominazione al nome di un dirigente dell'Ente Nazionale Risi del tempo, Emiliano Carnaroli, docente universitario di idraulica agraria presso l’Università di Milano, coinvolto nell’ibridazione della nuova varietà di riso. La prima iscrizione della varietà Carnaroli al Registro Varietale è del 1974: da allora, l’Ente Nazionale Risi è il conservatore del riso Carnaroli in purezza.

È un riso molto difficile da coltivare e richiede delle precise condizioni climatiche e ambientali, tradizionalmente la zona a cavallo tra Lombardia e Piemonte, il Delta del Po, nelle provincie di Pavia, Vercelli, Novara e in Lomellina. Mentre la richiesta è molto elevata, in Italia come all’estero, l’areale di coltivazione del riso Carnaroli è sempre stato piuttosto ristretto, meno di 10.000 ettari in tutta Italia, rendendolo un prodotto di nicchia.

CHICCO CARNAROLI

Le caratteristiche del re dei risi
La pianta presenta stelo molto lungo e sottile che ne rende particolarmente delicata la coltivazione quando la spiga giunge a maturazione, perché tende ad adagiarsi a terra piegata dal suo stesso peso.  Questo riso –  classificato come “superfino” – si riconosce dal chicco molto lungo, semi affusolato, perlato (foto sopra). Il chicco è particolarmente ricco di amido amilosio (la maggiore quantità di amido rispetto ai risi più comuni risulta in bassa collosità), capace di tenere benissimo la cottura e di assorbire aromi e condimenti al meglio. L’eccellente consistenza del chicco, le sue dimensioni e la bassa collosità lo rendono perfetto per i risotti, che risultano con chicchi sgranati. È il riso prediletto dagli chef per i loro pregiati risotti, ma si presta bene anche per molte altre pietanze di alta gastronomia.

Risotto ai tre porcini

Quando è… Classico
Con un decreto del 17 agosto 2018, si è data la possibilità ai produttori di denominare il proprio riso “classico” dove questo fosse 100% della qualità indicata ed è stato istituito un Albo dedicato. “Carnaroli Classico”, la nuova certificazione di Ente Risi – grazie a controlli incrociati, quantità di sementi certificate e seminate, controlli effettuati direttamente presso le aziende agricole sullo stoccaggio del prodotto per garantirne la separazione dagli altri risoni  – attesta che si tratti del vero, unico e inimitabile Carnaroli.

CARNAROLI LUNGO

Il sistema di tracciabilità di filiera di tale varietà garantisce che si tratti di riso coltivato da sola semente Carnaroli e non di varietà similari che spesso vengono commercializzate con la stessa denominazione ma che non rispecchiano le caratteristiche qualitative del Carnaroli originale. La certificazione della semenza e la tracciabilità della filiera completa elevano la qualità di questa varietà.

LA MONDINA 2

Il Carnaroli ha un ciclo vegetativo molto lungo, il suo sviluppo lento e la raccolta tardiva. Abbiamo chiesto a Cristina Brizzolari Guidobono Cavalchini, che con eccezionale passione e competenza gestisce l’Azienda Agricola La Mondina di proprietà del casato di Luigi Guidobono Cavalchini presso l’antico casale di famiglia a Casalbeltrame (Novara, foto sopra), immerso tra distese di risaie a perdita d’occhio, di parlarcene: “La coltivazione del vero Carnaroli è molto più complessa di altre varietà e la produttività più limitata. La mia scommessa è stata coltivare riso Carnaroli Classico dove non era stato mai fatto. È una pianta molto difficile e io sono stata la prima a farlo in questa zona, in circa 200 ettari coltivati a rotazione: 100 a riso e i restanti 100 a mais, a erba da destinare agli animali oppure a risi con tecnologia Clearfield per pulire i campi” ci spiega Cristina, imprenditrice innamorata di questa varietà e di questi luoghi e di recente eletta nuova presidente regionale di Coldiretti. “La rotazione è utile non solo per aumentare la fertilità del terreno, ma contro le infestanti e per consentire alle piante di riprendersi e difendersi dai patogeni”.

RISAIE AIRONI

Vinta la scommessa con tanto lavoro sul campo – letteralmente –  studio delle tecniche della risicultura e una buona dose di tenacia, la scelta del nome del non può essere che Riso Buono. “Per ottenere livelli sempre più elevati di qualità bisogna impegnarsi molto, senza contare avere un profondo amore e rispetto verso la natura (foto sopra)” continua Cristina Brizzolari, che ha appena festeggiato i primi dieci anni dell'azienda. “Il nostro Riso Buono Carnaroli Gran Riserva viene fatto invecchiare un anno da grezzo. È una pratica già nota in antichità: il procedimento ‘dell’Agin’ dà la possibilità al riso di acquisire tutte le caratteristiche di massima qualità e di aumentare il volume originale, ottenendo minore dispersione di amido e minerali nella cottura”.

TREBBIATRICE

Raccolta e stoccaggio
Il riso si raccoglie tra settembre e ottobre: un tempo con il falcetto, oggi con l’aiuto delle mietitrebbiatrici (foto sotto). Appena raccolto, il riso è molto umido e deve essere sottoposto ad essiccazione: entro 15–20 ore dal raccolto il riso entra nell’essiccatoio in cui viene immessa aria calda e dove i chicchi sono sottoposti a movimento continuo, per poi essere sottoposti a un ciclo di raffreddamento controllato. A questo punto viene sottoposto alla lavorazione (pulitura e vagliatura per eliminare i residui dell’essiccazione) e poi è pronto per essere stoccato nei silos.

ESSICCAZIONE RISO

La lavorazione
È quanto determina la qualità del prodotto; prima della lavorazione il riso viene chiamato risone. Il rivestimento esterno del chicco, cioè la lolla, deve essere eliminato, evitando la rottura del chicco stesso. Il riso entra nel pulitore che tramite un setaccio vibrante elimina i corpi estranei (sassolini, etc.). A questo punto entra nello sbramino che ‘sbuccia’ il 90% dei chicchi, eliminando la lolla. “Noi a La Mondina abbiamo mantenuto la sbramatura a pietra” spiega Cristina Brizzolari “perché sebbene più impegnativa, è meno invasiva e mantiene inalterate le caratteristiche organolettiche del riso, oltre che risultare in un minor numero di chicchi rotti”. A questo punto abbiamo riso integrale, detto anche semigreggio, il cui chicco è ancora avvolto nel pericarpo (la pellicola che ritarda la penetrazione dell’acqua nel chicco, da qui il lungo tempo di cottura richiesto dal riso integrale).

SELEZIONE VISIVA RISO

Per ottenere il riso bianco la lavorazione continua attraverso la levigatura, ossia la raffinazione meccanica per sfregatura e abrasione che elimina il pericarpo. “La sbiancatura del riso è un passaggio molto delicato: cerchiamo di salvaguardare il più possibile la gemma usando macchinari poco abrasivi che siano delicati con i nostri chicchi, lasciando a Riso Buono Carnaroli Gran Riserva il sapore di un tempo. Se è troppo bianco significa che è stato privato delle sue qualità organolettiche” conclude Cristina Brizzolari. Quando il Carnaroli è classico e buono...

Francesca Tagliabue
ottobre 2023

 

L’immagine del risotto è di proprietà di salepepe.it
Tutte le altre immagini: courtesy of Cristina Brizzolari e dell’Azienda Agricola La Mondina, Castelbeltrame

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