Una frase che ogni giorno celebra un rituale di socialità a cui la maggior parte degli italiani non rinuncia, perché da noi il caffè è la bevanda che meglio accompagna momenti di condivisione e di relax
Condividi
Ogni mattina presto si sente un forte profumo per le vie della città: da bar e caffetterie si leva l’aroma di caffè. Per la maggior parte degli italiani, la giornata deve iniziare con un caffè - altrimenti non si partirebbe con il piede giusto. A voler ben guardare, dentro una tazzina c’è un mondo intero: il profumo e l’esotismo di luoghi lontani ma anche memorie e ricordi; culture che s’incontrano e la serenità delle abitudini di casa. Per quasi tutti gli italiani, una passione da condividere. All’inizio del 2022, c’è stata perfino la candidatura a patrimonio immateriale dell’Umanità dell’Unesco: “Il caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche da Venezia a Napoli”. Un tributo (al momento purtroppo bocciato a favore de “L’arte italiana dell'Opera lirica”, candidato del 2023) a quello che da secoli per gli italiani è un vero e proprio rituale, parte integrante dell’identità del Paese ed espressione della loro socialità.
Quasi una liturgia quotidiana Perché in Italia il caffè non è semplicemente una tazzina e via: per i puristi dell’espresso è una bevanda preziosa ottenutadalla torrefazione e macinazione dei semi di Coffea Arabica e Coffea Robusta e preparata a macchina secondo un procedimento di percolazione sotto alta pressione di acqua calda; per gli studenti universitari è una soluzione salvavita per le lunghe studiate notturne. Per gli abitudinari è la naturale conclusione di ogni pranzo o cena. Per molti, è una scusa per stare in compagnia. Ma la nera e profumata bevanda per gli italiani è, soprattutto, silenziosa testimone di ritrovi in amicizia, qualche scambio di parole oppure lunghe chiacchierate, seduti a un tavolino: al bar, solitamente, ma anche a casa e in ufficio – la famosa “pausa caffè”. Il luogo non ha poi molta importanza, anche se il bar è spesso teatro principale di questo rituale, che lo si celebri al bancone o seduti fuori, a guardare i passanti.
“Prendiamoci un caffè” e “Ti offro un caffè“: non importa l’ora o il giorno, queste semplici frasi che tutti abbiamo pronunciato svelano il desiderio di scambiare due chiacchiere con gli amici o con i colleghi, di accogliere bene ospiti a casa oppure, semplicemente, il bisogno di spezzare la routine quotidiana in compagnia.
Com’è iniziato il tutto Il famoso Caffè Florian in Piazza San Marco, a Venezia, è stato fondato nel 1720. Oggi è la più antica caffetteria operativa al mondo. Nel Settecento ospitava ai suoi tavolini grandi artisti come Johann Wolfgang von Goethe, Madame de Staël, il drammaturgo Carlo Goldoni, gli scrittori Giuseppe Parini e Silvio Pellico: venivano a bere il caffè e qui si fermavano a tessere lunghe conversazioni dando il via ufficiale al rito del ritrovo che ancora oggi scandisce la socialità quotidiana. Curiosamente, il Florian fu il primo Caffè ad accogliere le donne, e poté quindi contare sul patronato del seduttore Giacomo Casanova, sempre in cerca di compagnia femminile cui offrire un caffè (per cominciare). Nei secoli si sono succeduti Lord Byron, Ugo Foscolo, Ernest Hemingway, Charles Dickens, Marcel Proust, Gabriele D’Annunzio, Eleonora Duse, Jean-Jacques Rousseau, il pianista Arthur Rubinstein, il compositore Igor Stravinsky e tanti altri ancora, fino ad arrivare a celebrità moderne come la regina Elisabetta II, François Mitterand, Jacques Chirac, Elton John, Giorgio Armani; i registi Michelangelo Antonioni, Martin Scorsese, Oliver Stone; gli attori Charlie Chaplin, Clark Gable, Omar Sharif, Mel Gibson, Nicholas Cage, Matt Damon, Catherine Deneuve, Clint Eastwood. Tutti a prendersi un caffè.
Quando è sospeso fa davvero bene Nell’ultimo decennio, in Italia ha ripreso una bella tradizione filantropica - nata nei primi del ‘900 a Napoli e consolidata principalmente tra la gente del popolo nel Dopoguerra - di pagare al bar un caffè in più senza berlo, lasciandolo “sospeso” per chi verrà dopo: l’iniziativa, infatti, era rivolta ai passanti meno fortunati, i quali si avvicinavano al bancone del bar e chiedevano “C’è un sospeso per me?”. Perché il rito del caffè è inclusivo e non lascia indietro nessuno.