Elevata intensità aromatica, una lavorazione più lunga di altri formaggi, una zona di produzione ridotta: tutto ciò contribuisce fare del Castelmagno un prodotto di nicchia: il re dei formaggi, anzi, il formaggio dei re.
Una storia antica
Il Castelmagno è un formaggio conosciuto fin da tempi molto remoti: le prime forme, forse intorno all’anno Mille, venivano considerate un cacio dei poveri: ogni famiglia aveva pochi animali, e gli avanzi di latte di una sola giornata non erano sufficienti per fare il formaggio, che veniva quindi prodotto con cagliate di più giorni. Ben presto si rivelò una leccornia preziosa, un formaggio da re: data l’antichità della tradizione di produzione, pare che il nome derivi dal fatto che l’imperatore Carlo Magno (foto sotto) ne era un grande estimatore al punto di farlo arrivare regolarmente ad Aquisgrana, come pare facessero anche i papi in Avignone.
Una nobiltà conquistata la cui ascesa è documentata anche dal testo di una sentenza arbitrale del 1277 secondo la quale, per l’usufrutto di alcuni pascoli in contestazione fra i Comuni di Castelmagno e di Celle di Macra, si fissava come canone annuo una certa quantità di formaggi di Castelmagno, da pagarsi al Marchese di Saluzzo. Nel Settecento, troviamo che il re Vittorio Amedeo II nel 1722 ordinava per decreto una fornitura di forme di Castelmagno al feudatario locale. Il Castelmagno godé di massima fama nell’Ottocento, quando comparve nei menu dei più prestigiosi ristoranti di Londra e Parigi. Negli anni Sessanta rischiò di scomparire: lo spopolamento delle montagne all’epoca rischiò di cancellare l’antica tradizione di questo formaggio, che venne poi recuperato da sapienti e attenti casari.
Il formaggio
È un formaggio vaccino a pasta semidura di colore bianco, dal sapore intenso di latte, di breve o media stagionatura. Ha forme cilindriche a facce piane, ben proporzionate, il cui peso si aggira tra i tre e i sette chilogrammi. La crosta, sottile e giallo-arancio nelle forme giovani, scurisce e si ispessisce con la stagionatura; la pasta, inizialmente bianca e friabile, con la maturazione si fa compatta e color ocra, con sottili venature blu; il gusto passa da delicato e dolce a forte e piccante. I profumi dei pascoli si ritrovano nel formaggio: il latte usato nella produzione di Castelmagno ne stabilisce la tipologia e la struttura futura, se sarà definito Prodotto di Montagna (pascoli tra i 600 e i 1000 metri di altitudine) o se potrà fregiarsi della dicitura “di Alpeggio”(pascoli sopra i 1000 metri).
Quando è “di Alpeggio”
Il Castelmagno di Alpeggio è un Presidio Slow Food: è prodotto esclusivamente con latte vaccino munto ad alta quota, in malga, a partire da giugno fino a settembre. Le vacche, principalmente di razza piemontese (foto sopra) ma anche Barà Pustertaler, Bruna, Pezzata Rossa d’Oropa, Pezzata Rossa, Montbeillard, Grigio Alpina e Valdostana, pascolano libere sui prati dell’alta Val Grana per tutta l’estate; i malgari caseificano solo il latte delle proprie bovine e il formaggio prodotto è ottenuto senza l'impiego di fermenti, da due sole mungiture e seguendo tecniche di produzione rigorosamente tradizionali. In questo caso la “sventolina”, cioè la tipica etichetta a forma di elica, sarà di colore verde e riporterà la scritta “di alpeggio”. Ha un aroma intenso, sapido, con note di latte cotto, frutta secca, fieno e sottobosco dovute all’alimentazione delle vacche d’alpeggio, che si nutrono solo di erba dei pascoli e fiori pratolini.
Disciplinare e produzione
Oggi la zona di produzione del Castelmagno è rigorosamente limitata a tre comuni dell’alta Valle Grana: Castelmagno (foto sopra, l’omonimo borgo), Pradleves e Monterosso Grana, nella provincia di Cuneo, in un microclima unico. Il Consorzio per la tutela del formaggio Castelmagno fu costituito dai suoi produttori il 19 giugno 1984 e, dal 1996, gli è stata riconosciuta la Dop. Da disciplinare, viene prodotto con latte intero vaccino proveniente da due mungiture giornaliere (serale e mattutina) cui eventualmente si può aggiungere una piccola percentuale di latte ovino o caprino piemontese (non oltre il 20%). La tecnica di produzione rimane la stessa: le cagliate di giorni diversi, dopo vari passaggi, tra cui triturazione e salatura, vengono mescolate e pressate nelle fascere di legno, avvolte in un telo e riposte a stagionare.
Il latte crudo, addizionato di caglio liquido, viene fatto coagulare: la cagliata, dopo due rotture e l’impasto con sale da cucina, è messa nelle fascere di legno. È fondamentale che l’alimentazione delle vacche sia costituita da foraggio fresco e fieno dei prati locali. Per essere sicuri dell'autenticità, la forma deve riportare il logo e la “sventolina” a elica: di colore blu se si parla di prodotto della montagna (foto sotto); verde se il formaggio è “di Alpeggio” (solo 10% del mercato).
Stagionatura
Avviene in luoghi naturali, bui e asciutti, posizionato su assi di larice (étagères) - possibilmente in grotte di tufo - per un periodo non inferiore a 60 giorni. Se il Castelmagno è poco stagionato, ha sapore delicato e appena salato. Un invecchiamento superiore ai cinque mesi regala al palato sapori diversi, più intensi, che vanno dal salato al piccante. A seconda del periodo di affinamento, grazie alla presenza di muffe nobili può presentare alcune erborinature naturali, frequenti nelle forme più invecchiate.
A tavola e in cucina
Ottimo come formaggio da tavola, servito accompagnato dalla cognà (in piemontese “cugnà”, foto sopra), una specialità culinaria originaria delle Langhe e del Piemonte, chiamata anche mostarda d’uva piemontese, che unisce le principali caratteristiche di una confettura a quelle di una mostarda. Generalmente, la si prepara con mosto d’uva, mele renette e cotogne, pere Madernassa o Martin, fichi, nocciole e noci, scorze di limone e arancia, cannella, chiodi di garofano.
Consigliato abbinato a vini rossi e corposi delle sue parti, come Barbaresco, Barolo e Nebbiolo d’Alba. Da provare con l’Albana di Romagna. Si conserva in ambiente fresco oppure in frigorifero, avvolto nella sua carta d’acquisto.
Francesca Tagliabue
ottobre 2022