Da piatto povero e prettamente rurale, la cacio e pepe negli anni ’60 si è diffusa in trattorie e osterie. Da allora cuochi e chef l’hanno interpretata in mille modi diversi. E senza aggiungere ingredienti!
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La ricetta classica
Si può dire che l’estro culinario romanesco abbia fatto un bel miracolo nel tirar fuori una pastasciutta, celebre nel mondo, golosa come poche, con due soli ingredienti: cacio e pepe. Niente burro, niente olio, è di rustica semplicità il piatto dei suoi primi inventori, ovvero i pastori dell’agro romano, che la preparavano durante la transumanza e non si preoccupavano che “strozzasse” (cioè che fosse asciutta). Già Ada Boni, nel suo La cucina romana del 1929, la definiva una ricetta non certo “fine” e suggeriva di sgocciolare poco la pasta per ammorbidire il condimento. Stesso consiglio nei ricettari degli anni sessanta che raccomandano di tenerla “brodosa”, come si evince dal testo sacro le ricette regionali italiane (a cui ci siamo ispirati nella nostra ricetta) di Anna Gosetti Della Salda, esperta di cucina tradizionale. Una preparazione apparentemente semplice, che invece richiede perizia per diventare davvero goduriosa, come scriveva lo scrittore e giornalista romano Livio Jannantoni: “quasi una causa persa per chi non ha dimestichezza con pile, padelle e piatti”. Quanto al formato, i capostipiti sono stati i tonnarelli, ma poi sono venuti i bucatini, gli spaghettoni e pure i rigatoni.
Tonnarelli cacio e pepe
350 g di pasta tipo tonnarelli – 100 g di pecorino romano stagionato 5 mesi – sale – pepe
1 Mettete sul fuoco abbondante acqua. Appena inizia a bollire, salatela con moderazione: il formaggio che andrà a condirla è molto sapido.
2 Grattugiate il pecorino finemente. Scaldate un’ampia zuppiera.
3 Scolate la pasta al dente senza sgocciolarla troppo (l’eccesso di acqua servirà ad aiutare la mantecatura) e versatela nella zuppiera calda. Cospargetela subito con il pecorino e un’abbondante macinata di pepe e mescolate.
Interpretazioni moderne
Renato Trabalza
Chef e patron della "Trattoria Sora Lella", all'isola Tiberina, a Roma, è nipote della storica interprete della genuina cucina capitolina, al secolo Elena Fabrizi, che aprì il locale nel 1959.
Com'era la cacio e pepe di una volta? "Un tempo non c'erano le accortezze di oggi. Nelle trattorie e nelle osterie si spadellava tutto insieme e il risultato era molto asciutto."
E ora invece? "Ognuno ha scelto la sua strada per ottenere un piatto più gradevole. Io cuocio la pasta con poca acqua e poco sale e mi tengo un po' d'acqua di cottura da parte. Macino al momento un mix di pepi, li tosto in padella e poi li sfumo con poca acqua. Verso la pasta sgocciolata (tonnarelli, spaghettoni, ma anche ravioli di ricotta e spinaci) sul pepe, aggiungo un po' d'acqua di cottura e faccio insaporire. Infine aggiungo il pecorino mescolato a crema con acqua di cottura e spadello: quest'ultimo passaggio va fatto fuori dal fuoco per evitare che il pecorino si separi per la temperatura troppo alta. Rifinisco con altro pepe e pecorino e, in stagione, con mentuccia."
Antonello Colonna
Chef e patron del "Colonna Resort & Spa" di Labico (RM), con alle spalle una famiglia che vanta 150 anni ininterrotti nella ristorazione, oggi viene spesso definito chef anarchico.
Perché? "Perché faccio come mi pare e sono peperino. Già a sei anni, quando i miei cucinavano la cacio e pepe nella loro trattoria, il pepe volevo mettercelo io. Ai tempi era un blocco che ti mandava all'ospedale; il termine mantecatura neanche esisteva. Abbondavano pecorino, sale e pepe, così bevevi tanto vino: era con quello che si guadagnava."
Com'è cambiata la vostra cacio e pepe? "Lesso i bucatini in acqua poco salata e quasi subito inizio a toglierla via via e la tengo da parte in una pentola sul fuoco. Faccio mantecare la pasta, non la scolo. Fuori dal fuoco, spadello con pecorino, pepe a tre maturazioni pestato e, magari, poca acqua."
Mica facile... "No, è uno di quei piatti che definisco "angoscianti"; ti mettono l'ansia perché bisogna gestire bene i tempi."
Alessandro Borghese
Chef e patron de "Il lusso della Semplicità" di Milano e di Venezia, è una star televisiva talmente nota da non richiedere presentazioni. La sua cacio pepe incuriosisce parecchio. Sembra quasi violetta.
Come mai? "Ci arriviamo. Prima di tutto setaccio il pecorino per renderlo finissimo e lo mescolo con una frusta con acqua tiepida."
L'acqua della pasta? "No no, acqua pura; la preferisco senza amido. Poi scolo gli spaghettoni al dente e li manteco in una bastardella con la cremina di cacio e due pepi (pugliese e a bacca cava dalla Tasmania) macinati e tostati. Sono i loro antociani a dare il particolare colore. Ecco svelato il segreto."