I cereali di cui vi parliamo fanno tutti parte della famiglia denominata Triticum. Quelli antichi, a differenza dei moderni, recuperano coltivazioni abbandonate in favore di selezioni migliori per resa, resistenza, adattabilità ai processi industriali. Ma, fatalmente, impoverite di qualità nutrizionali e organolettiche e arricchite, al contrario, di sostanze potenzialmente allergizzanti come il glutine. Recuperare i frumenti antichi permette perciò di reintrodurre nella dieta alimenti più salubri e gustosi
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Una storia antica Già diecimila anni fa, durante il Neolitico, i primi agricoltori avevano imparato a seminare differenti varietà di frumento e a raccoglierne i chicchi per ricavarne farine con l’ausilio di rudimentali macine di pietra.
Grani antichi:caratteristiche Questi grani preistorici, protagonisti di una cucina naturale e genuina, sono arrivati fino a noi e continuano a offrirci il loro straordinario patrimonio di nutrienti. A differenza di quelli moderni, infatti, non sono stati manipolati e ibridati per poter essere coltivati in maniera intensiva e contengono meno glutine e, in particolare, meno gliadina (una delle proteine che compongono, appunto, il glutine): sostanze che, presenti in quantità eccessive, possono favorire lo sviluppo di allergie e intolleranze.
Il grano khorasan Fra i frumenti antichi, uno dei più energetici è il grano khorasan, diffuso nella valle del Nilo 6.000 anni fa. Il khorasan fu riscoperto per caso dopo la Seconda guerra mondiale, quando un soldato americano di stanza in Egitto ne raccolse una manciata di chicchi e li inviò a un commilitone, che a sua volta li spedì negli Stati Uniti dove arrivarono, infine, nelle mani di agricoltore che iniziò a coltivarli nel Montana. Negli anni Settanta il grano khorasan, poi brevettato col nome di kamut, è stato studiato sotto il profilo nutrizionale che ne ha evidenziato il notevole contenuto di selenio e vitamina E, antiossidanti che ringiovaniscono articolazioni, pelle e mucose. La farina che se ne ottiene è saporita e nutriente, adatta alla produzione di pasta e, in particolare, alla panificazione: il pane che se ne ottiene, infatti, ha un sapore corposo e si conserva a lungo. Il kamut, come tutti gli sfarinati “antichi”, è perfetto per gli impasti di torte salate e dolci mentre i chicchi interi si possono usare in zuppe o inediti “risotti” (anche in versione spezzata, simile al bulgur), dimostrando grande duttilità.
Il monococco Altrettanto versatile il monococco, o piccolo farro, ricavato da una pianta ritenuta la più antica tipologia di frumento coltivato dall’uomo. È una varietà del farro, cereale “leggendario” che per le sue speciali virtù ricostituenti costituiva già la base della dieta degli antichi soldati romani. Infatti, con un contenuto calorico in media con quello degli altri frumenti (circa 340 calorie per etto), risulta altrettanto nutriente e ricco di virtù. In particolare, il farro è ricco di proteine, fosforo, potassio, magnesio e fornisce un buon apporto di vitamine del gruppo B, di cui può esserci carenza nelle diete vegane. Compagno ideale per minestre e insalate con verdure crude e cotte, con la farina di farro si preparano ogni genere di impasti, prodotti da forno e di pasticceria rustica. Senza dimenticare la pasta fresca o secca: particolarmente gustosa, è perfetta con sughi e ragù vegetariani, che esalta anche grazie alla sua grana ruvida e rustica.
Grano tenero e grano duro Dal punto di vista gastronomico, infatti, bisogna sottolineare la particolare consistenza e la caratteristica sapidità di tutti questi cereali: qualità che li rendono, uno per l’altro, adatti a una cucina di ispirazione “povera” che sposa per elezione i prodotti dell’orto. Ottimo anche l’abbinamento con i semi oleosi, come le noci della nostra pasta ma anche mandorle, pinoli, nocciole, anacardi: ingredienti preziosi nella dieta, perché favoriscono l’assimilazione delle proteine dei cereali. Anche il grano tenero ha origini antiche: da sempre, in Italia e non solo, si macina per produrre la farina bianca usata per la pasta fresca, le frolle e le sfoglie, ma anche per dolci soffici, focacce, pizze e tanti altri lievitati. A differenza del grano duro, diffuso nel nostro Meridione e impiegato soprattutto nella produzione della pasta alimentare e dei pani tradizionali, quello tenero per crescere preferisce i terreni più umidi e i climi nebbiosi del Nord Italia. I suoi chicchi piccoli, morbidi e leggermente opachi assorbono meno acqua rispetto al duro e conservano consistenza e sapore delicato anche dopo ammollo e cotture lunghe. Come tutti i chicchi consumati interi (e le farine non raffinate) quelli del grano tenero mantengono i nutrienti contenuti nel germe, fra cui grassi “buoni” e vitamina E che, con carboidrati e proteine, rendono completi i piatti unici primaverili dove si abbinano alle verdure a foglia verde, ortaggi novelli e, perché no, frutta in portate che integrano la dieta di potassio, vitamina C e antiossidanti.