Abbiamo tutti incontrato dei piatti “alla diavola”, che si trattasse del classico galletto, di pizza, pasta o uova ripiene. E in quasi tutti questi casi si trattava di vivande piccantine. In realtà, il termine è solitamente usato con un doppio significato: il primo è riferito a cibi (come carne e pollame - il galletto appunto) cotti sulla brace ardente o in padella su fiamma vivace, che ricorda il fuoco dell'Inferno; il secondo definisce una pietanza insaporita con abbondante peperoncino o altra salsa molto piccante, che «infiamma» la bocca di chi la sta gustando.
Pellegrino Artusi sposa la seconda teoria, che spiega bene nel suo La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, parlando del pollo alla diavola: “Si chiama così perché si dovrebbe condire con pepe forte di Cayenna e servire con una salsa molto piccante, cosicché a chi lo mangia, nel sentirsi accendere la bocca, verrebbe la tentazione di mandare al diavolo il pollo e chi lo ha cucinato”. Per l’autorevole cuoco-gastronomo Carnacina, invece, si chiama così perché cotto sulla graticola (e consiglia di avvolgerlo nel pangrattato per renderlo più croccante). Il significato dell’aggettivo si è poi allargato a vari cibi, spesso cucinati in salsa rossa e comunque sempre piccanti.
La parola inglese “diavolo” (devil), in riferimento a pietanze molto condite, era già in uso nel XVIII secolo nei Paesi anglosassoni, con il primo riferimento stampato conosciuto apparso nel 1786.
Nel XIX secolo, l'aggettivo “alla diavola” venne usato sempre più spesso per indicare cibi piccanti, comprese le uova preparate con senape, pepe o altri ingredienti ripieni nella cavità del tuorlo (deviled eggs). Sono molto popolari nella parte settentrionale degli Stati Uniti), presenti in ogni pic-nic e festa. In alcune parti degli Stati Uniti meridionali e del Midwest, molto religiose, si ricorre ancora oggi a termini come “uova ripiene”, “uova in insalata” e “uova condite”, per evitare il riferimento alla parola diavolo. Occasionalmente viene utilizzato anche il termine “uova d'angelo”.
Esiste una salsa francese, chiamata “à la diable”, a base di scalogno, aceto, salsa spagnola, salsa di pomodoro, Worcester e una dose abbondante di pepe di Cayenna (sopra). Questa salsa accompagna cibi cotti alla brace, la fondue burguignonne e la chinoise, carmi bollite. Il grande cuoco Auguste Escoffier ne pubblicò la ricetta nel 1903 nel suo Le Guide culinaire. Aide-mémoire de cuisine pratique, portando la salsa nella grande cucina internazionale.
Qui alcuni piatti alla diavola famosi:
Chiamate anche ‘uova alla russa’, le uova sode ripiene sono un antipasto molto antico, che risale fin all’Antico Egitto e a Roma. Naturalmente nell'Antica Roma non si chiamavano “alla diavola” ma ‘gustatio’: venivano rassodate e condite con salse piccanti, per poi essere servite come antipasto durante ritrovi e feste. Servire queste uova mentre si intrattenevano gli ospiti era un classico dell’ospitalità tra i ricchi romani, che avevano persino coniato un detto per dire ‘dall'inizio del pasto fino alla fine’: “ab ovo usque ad mala”, che significa appunto “dalle uova alle mele”. Si ritiene che la prima testimonianza scritta di una ricetta per uova ripiene molto simile alle moderne uova alla diavola sia quella apparsa in un libro di cucina andaluso senza nome del XIII secolo: le mezze uova sode venivano farcite con i tuorli bolliti mescolati a coriandolo, pepe e succo di cipolla. In Piemonte si chiamano anche uova alla bella Rosina, perché secondo il pettegolezzo storico venivano preparate a Vittorio Emanuele II di Savoia da Rosa Vercellana, detta la bella Rosin, amante e compagna per trent’anni fino a quando, vedovo, Vittorio Emanuele II la sposò nel 1877 con matrimonio morganatico, cioè “senza attribuzione del titolo di regina”.
Tipico della tradizione italiana, pare sia di origine romana, anche se la sua bontà ha dato vita a diverse varianti, tutte gustosissime. Sempre cotto intero, in Lazio viene massaggiato con un’emulsione di olio extravergine di oliva, paprica e peperoncino, quindi messo su una piastra calda con un peso sopra. Nella versione emiliana il pollo - condito con olio, sale e peperoncino in polvere - viene fatto cuocere intero in padella posizionandovi sopra un peso durante la cottura per ottenere la pelle croccante e la carne morbida e succulenta. Alla toscana, il pollo alla diavola è cucinato alla brace, sulla fiamma, insaporito e massaggiato con olio d’oliva e un trito di rosmarino, salvia, scorza di limone, aglio e peperoncino fresco. Trovate la ricetta qui.
Gli ingredienti di questa pizza, oltre a quelli classici, sono peperoncino e salame piccante (da provare quella con la ‘nduja). Il condimento della Diavola, come spesso viene chiamata, fu talmente apprezzato oltreoceano che diede il via alla famosissima pizza pepperoni americana (foto in apertura), presente in molti film, serie e show televisivi - altro non è che la nostra pizza alla diavola! “Pepperoni”, infatti, in americano significa salame piccante.
L'azienda americana Underwood produsse il primo ‘prosciutto alla diavola’ in scatola nel 1868, una miscela di prosciutto macinato con vari condimenti piccanti. Il trattamento “alla diavola” veniva eseguito con altri prodotti a base di carne e frutti di mare, tra cui tacchino, pollo, lingua e aragosta e consiste nell'aggiungere alla carne, quale che sia, spezie come salsa di peperoni, pepe di cayenna, senape di Digione e peperoncini tritati. L’azienda, che da subito commercializzò i prodotti alla diavola con un logo registrato nel 1870 (foto sopra), afferma che il loro è il marchio alimentare più antico ancora in uso negli Stati Uniti.
Francesca Tagliabue
luglio 2024